Clima: USA fuori, Cina alla sfida
La settimana che si è chiusa ha visto New York ospitare i leader del mondo ed affrontare, alla vigilia della Cop 30 che si terrà a novembre in Brasile, il vituperato ormai tema di come affrontare (e provare a risolvere) la crisi climatica.
Nel suo discorso, il presidente cinese Xi Jinping, durante il vertice all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha detto, senza giri di parole, che gli Stati Uniti non sono all’altezza della sfida climatica. Esperti affermano invece che i nuovi tagli alle emissioni proposte dall’impero del Dragone sono “molto al di sotto” di quanto necessario. USA vs Cina 1 a 1 e palla al centro.
Andiamo per ordine. I piani per ridurre ulteriormente le emissioni di gas serra promessi dalla Cina suscitano la critica di essere troppo poco ambiziosi per scongiurare una catastrofe globale. L’obiettivo di ridurre le emissioni tra il 7% e il 10% rispetto al picco massimo entro il 2035, è ben lontano dal taglio del 30% che la scienza ha ritenuto fattibile e necessario. La seconda economia più grande del mondo continuerebbe quindi ad eludere il vero problema. Questo almeno quanto pensa Kaysie Brown, direttrice associata per la diplomazia e la governance climatica presso il think tank E3G: “L’obiettivo della Cina per il 2035 è decisamente al di sotto di quanto necessario. Non è in linea né con la decarbonizzazione economica della Cina, né con il suo obiettivo di neutralità carbonica entro il 2060”. E ha aggiunto: “Senza una maggiore ambizione a breve termine, la Cina rischia di minare la sua pretesa di sostenere il multilateralismo e la sua leadership nell’economia pulita, e di inviare segnali contrastanti ai mercati globali”.
Tuttavia, non può sfuggirci il fatto che la Cina ha la consolidata abitudine di fissare obiettivi poco ambiziosi, per poi superarli ampiamente. “Ci aspettiamo dalla Cina promesse insufficienti e risultati eccessivi”, ha affermato Bernice Lee, illustre membro di Chatham House, aggiungendo che “il mondo degli affari e gli altri governi prenderanno spunto dalla chiara direzione di marcia della Cina, piuttosto che dai dettagli dei suoi piani”.
La Cina, è bene ricordarlo, è il Paese che ha investito 625 miliardi di dollari in energia pulita l’anno scorso, il 31% del totale globale. La sua impennata di energia pulita sta rimodellando l’economia globale e sostituendo il carbone in patria. L’energia pulita rappresenta già oltre il 10% del PIL cinese e circa un quarto della sua crescita economica, mentre la vendita di componenti come i pannelli solari ha ridotto il costo delle energie rinnovabili di circa il 90% in tutto il mondo nell’ultimo decennio. Il Paese ha rivoluzionato la tecnologia dei veicoli elettrici e delle batterie, favorendone l’adozione in tutto il mondo. Ma la Cina è ancora fortemente dipendente dal carbone che gode di un forte sostegno politico all’interno del governo comunista. Nuove centrali elettriche a carbone sono ancora in fase di sviluppo, nonostante la promessa fatta nel 2021 di “ridurlo gradualmente”.
Nello stesso giorno in cui il presidente cinese delineava la strategia del suo Paese per combattere il riscaldamento globale, il segretario all’energia degli Stati Uniti, Chris Wright, pretendeva che il suo dipartimento restituisca al Tesoro miliardi di dollari accantonati per progetti verdi. “Più le persone si impegnano nella cosiddetta lotta al cambiamento climatico, più l’energia diventa costosa”, ha affermato Wright. “Questo abbassa la qualità della vita delle persone e ne riduce le opportunità di vita”. E alla domanda se avesse intenzione di partecipare alla Cop 30, Wright ha risposto: “Non ho intenzione di andarci”. Sintesi in linea con l’amministrazione Trump, come già anticipato dallo stesso presidente in più occasioni. Un cambiamento che si pone l’obiettivo di porre fine alla “cultura della cancellazione”, in cui “non si può dire nulla sul cambiamento climatico” senza essere “zittiti”.
A novembre, piaccia o meno a Wright, Cop 30 si farà e nella bella città di Belem, porta sull’Amazzonia. Lì tutti i Paesi dovranno presentare i propri piani sul clima, in linea con l’accordo di Parigi.
I politici responsabili di tutto il mondo devono rispondere in modo proattivo alle preoccupazioni dei propri cittadini sull’impatto delle politiche verdi sulle loro vite e continuare a ricordare loro quanto siano più costose e pericolose le alternative a una transizione verde. Anche negli Stati Uniti, pur con la politica negazionista del suo presidente, le politiche climatiche stanno progredendo. Ben 19 stati e aziende che coprono due terzi del fatturato statunitense, sostengono ancora l’obiettivo “net zero”.
La crescita delle energie rinnovabili è essenziale, ma se non si riducono contemporaneamente le emissioni di carbonio, l’obiettivo zero emissioni nette è impossibile. Se i progetti sui combustibili fossili andranno avanti, la produzione globale nel 2030 sarà più del doppio del limite per mantenere il riscaldamento a 1,5 °C. La crisi non sarà risolta né in questa né nella prossima Cop. Ma abbandonare il processo significherebbe consegnare la vittoria a Trump ed ai suoi amici negazionisti in giro per il mondo.