17 Novembre 2025
Words

Lo sfacelo attuale

La cosa più macroscopica, che mi pare cambiata in Palestina negli ultimi quindici anni, è la presenza massiccia di falangi islamiste. È cambiata la composizione dei partiti e dei gruppi armati. Al-Fatah sembra ormai un residuo borghese di quello che fu, con scarso appeal presso i cisgiordani; Hamas ha assunto anche esteticamente la simbologia islamista. In mezzo a questi due (e altri più residuali gruppi organizzati) ormai i gazawi più poveri, oltre a essere bombardati, sono in larga parte, ostaggi dei miliziani di Hamas.

I movimenti armati e terroristici (insieme ad Hamas, Hezbollah in Libano, Houthi in Yemen, jihadisti in Siria, Fratelli musulmani in Egitto) sono cresciuti grandemente in Medio Oriente negli ultimi venti anni; Gaza è soltanto la parte in superficie (come prima ISIS e Siria) della radicalizzazione religiosa.

Raramente si inquadra il tema palestinese in questo panorama più ampio, mentre si continua a trattare quella ribellione come fosse ancora una esclusiva lotta di popolo.

Il governo Netanyahu fa di tutto per porsi come un dito nell’occhio del mondo. Tuttavia, la questione palestinese mi pare parli soprattutto di che cosa siamo diventati noi italiani. E il vero problema per noi, ignorato e nascosto sotto al tappeto, non è cosa succede a Gaza, ma la crescente emotività che si incista nella formazione delle opinioni pubbliche e politiche, e la disinformazione corrente, quando non addirittura la diffusione di false notizie, non solo sul Medio Oriente, ma pure sul conflitto russo-ucraino. Per non parlare dell’altra quarantina di conflitti attivi nel mondo e ignorati dai media e dall’opinione pubblica occidentale.

Il nostro problema non è Gaza, ma siamo noi stessi. La nostra società che non sa più chi è, che cosa rappresenta, quale identità basilari dovrebbe difendere, quale sviluppo economico dovrebbe programmare e con quali forze lavoro, dato il negativissimo numero demografico.

L’Europa sta perdendo un abitante su tre. Significa in qualche decennio lo sfacelo demografico.

Come possono difendersi o contare qualcosa un Paese e un continente, se la loro forza (economica, produttiva, militare) è numericamente minima?

Il timore che non ce la faremo è forte. Non sappiamo più chi siamo. Abbiamo istituzionalizzato tutto, e non abbiamo una scuola che formi alla responsabilità. Abbiamo permesso a migliaia di persone di andare in pensione a 45 anni, e non sappiamo come dare lavori retribuiti ai giovani. Abbiamo normato tutto, e non sappiamo più dosare la giustizia. Abbiamo regolato tutto, e non abbiamo più un’economia solida da difendere. Abbiamo smesso di fare figli, e non sappiamo scegliere un’utile immigrazione. Abbiamo preso a parlare esclusivamente di importanti diritti civili, ma stiamo smembrando lo stato sociale.

L’Italia e l’Europa sembrano sull’orlo del baratro. Viviamo un tempo in cui i giovani parlano tantissimo di cose sulle quali non possono avere il minimo controllo, e non sanno nulla di come gira il mondo reale intorno a loro. I partiti di sinistra mirano al consenso rapido, cavalcando slogan ideologici. Non abbiamo più il senso della comunità, mentre sbraitiamo per l’identità di popoli e territori che non conosciamo. Non abbiamo obiettivi comuni, ma sappiamo dividerci benissimo in tifoserie, su argomenti ininfluenti nelle nostre vite quotidiane.

Serve un grande progetto di immigrazione da regolarizzare e una rinnovata campagna totale di acculturazione di massa (non solo dei giovani, ma degli immigrati, dei vecchi, di tutti), acculturazione italica sulle basi dell’universalismo europeo. Dobbiamo tornare a occuparci di noi, di come creare identità aperte su valori europei universalistici. Meno emotività, più raziocinio. Meno indignazione, più responsabilità. Meno proclami, più politica.