Marco Giaconi, a 5 anni dalla scomparsa
Il cinque ottobre 2020 ci lasciava Marco Giaconi, studioso, già nel periodo normalistico, di logica, di sistemi di comunicazione e di epistemologia. Non a caso, oggetto della sua indagine critica, in sede di tesi di laurea, fu proprio il matematico e filosofo americano Charles Sanders Peirce.
Nella sua complessa formazione, Marco è stato politologo di notevolissima intelligenza e preparazione, una personalità capace di quella concretezza che solo può nascere dalla curiosità intellettuale unita a un raffinato sapere.
Io, assieme a pochi altri (Pierantonio Pardi, gli amici del Museo della Poesia e, più tardi, ma solo per motivi di anagrafe, Alessandro Agostinelli, Andrea Bianchi, Marco Rota), sono stato testimone della sua crescita culturale, della sua trasformazione politica, dal nostro primo incontro nel 1974 in Ponte di Mezzo, a Pisa, dentro un vortice di bandiere rosse e di slogan ritmati e ballati alla maniera del joli mai alle innumerevoli riunioni nelle fumose stanze di via del Borghetto o di via Fratti fino al suo lento, progressivo passaggio ad altre prospettive, ad altre scelte politiche. Senza che questo nostro crescere in modo diverso interrompesse il sodalizio, la discussione su testi e opere, indebolisse la curiosità creativa, il piacere di stare assieme nell’indagine scientifica, vanificasse la predilezione comune per il pensiero complesso e per gli studiosi del linguaggio. Le sedi del nostro “cenacolo” erano diverse, ma in particolare tre: l’Osteria Rossini in piazza Dante, segmento di osservazione e di vivaci tavolate dove si passava dal pettegolezzo accademico alla goliardia a considerazioni, per esempio, su Spinoza senza soluzione di continuità; il piccolo bar di Borgo stretto di fronte a Largo Ciro Menotti, luogo di aperitivi, grazie alla sensibilità del giovane proprietario, frutto della tradizione ma anche di spericolate e soddisfacenti innovazioni; la sala riviste della Scuola Normale dove giocavamo a fare gli esploratori pescando, nella raccolta di “Critica Fascista”, oggetto al tempo dei miei studi, tra gli articoli sulla Spagna di Romano Bilenchi i più “scandalosi perché rivoluzionari”, quelli in cui il futuro scrittore chiedeva al Duce di intervenire sì nella guerra civile, ma a fianco dei repubblicani convinto com’era che il fascismo, in fin dei conti, altro non fosse se non il comunismo che parlava italiano.
Ho scelto questa data, cinque anni dalla sua morte, per chiarire che cosa io e gli altri amici carissimi di Marco intendiamo fare non solo per ricordare il suo lavoro e il suo lungo impegno, ma soprattutto per “usare” le sue geniali riflessioni e competenze, i suoi dati per analizzare la realtà che stiamo penosamente attraversando e i cui punti dolenti e terribili erano già drammatici quando Marco era vivo. Intanto, vorremmo procedere alla pubblicazione dei suoi scritti di politica internazionale presenti sulla rivista Alleo.it il giornale degli antipatici, per poi arrivare alla costruzione di una giornata di studio dedicata alle opere e alla vita di Marco pensata soprattutto per i giovani, per gli studenti.