Paolo Valesio, Contemplazione distrazione, Bohumil Edizioni, Bologna 2025
Paolo Valesio è un signore cortese e acutissimo. Ha insegnato per decenni negli Stati Uniti, occupandosi di letteratura e oggi è Emerito della Columbia University. Con rigore accademico ha processato vari campi letterari, riuscendo a non incatenarsi a un unico dettaglio di studio e ricerca. Anzi, con intelligenza e lungimiranza, ha creato una rete di scambio tra Italia e USA che ha fatto molto bene ai letterati invitati sui due lati dell’Oceano Atlantico. In questo ordine di impegno una pietra miliare è stata la fondazione della rivista Italian Poetry Review (edita da Società Editrice Fiorentina) che da venti anni è un luogo di approfondimento, conoscenza e presentazione di poesia e non solo. Oggi Valesio, in qualità di fondatore, ne assume la direzione onoraria, lasciando ai collaboratori più giovani (i docenti Simone Magherini di Università Firenze e Alessandro Polcri di Fordham University) l’onere della direzione esecutiva.
Il nostro autore ha scritto molti volumi di poesia, narrativa e saggistica, mescolando la poesia con la prosa e cercando sempre un taglio di scrittura che potesse traguardare un obiettivo futuro, una strategia linguistica originale, alcuni sperimentalismi sentiti come necessari.
Valesio non concepisce la scrittura in versi come una nenia di parole risapute, anzi si avventura spesso su sentieri sconosciuti. Tutto questo avviene perché, nella sua formazione più strettamente legata agli aspetti linguistico-filologici, è convinto che i linguaggi sono più causa di fraintendimento che di chiarezza. E dentro a questa entropia del lessico e della sintassi, Valesio tenta una caccia al microscopio, che sappia spiazzare il lettore, con cadenze ricorsive, come nella poesia che introduce il suo nuovo lavoro che presentiamo qui: Contemplazione, distrazione.
Da New Haven a New York, gli esurbi
si succedono in un esubero
che però è stanco, non esuberante:
una campagna già massacrata dal molti tempi
introduce a una città non ancora incominciata.
Punti esorbitanti
suscitati da urbane
orbite addolorate.
La poesia prosegue con altri quattro versi, ma già in questo avvio notiamo tutta l’attenzione alle parole, messa in atto dal poeta. Il gioco sul prefisso es- e la radice ur- che indica la città (derivando da urbslatino, ma forse ancor più anticamente dal nome della prima città conosciuta Uruk). E poi il gioco tra esubero ed esorbitante. Tre versi in cima e tre in fondo che dispongono parole in allitterazione e quasi in tautogramma. Ma in mezzo due versi che timbrano geograficamente tutto il mondo, visto tutto da un treno suburbano. L’immagine è molto evocativa: la campagna è massacrata, ma la città non ha ancora avuto piena forma. È un po’ la nostra condizione attuale (quasi antimoderna), raccontata come il pre- e il post-.
Nella prima sezione “I versi trafiggono gli anni” ci sono anche altre poesie di segno quotidiano, in cui le cose semplici che si possono notare in città, o che un flâneur dei nostri tempi si ingegna a osservare, hanno la caratura dei due versi di avvio di Words Fail: “Non sa se è più difficile esprimere la guerra dell’impero scatenato/o la luna plenaria alta sul lago gelato”.
E su tutte svetta la poesia Verso la Grande Stazione Centrale, in cui si cerca la bellezza nella stanchezza di due anziani seduti uno accanto all’altra, che si ignorano e compiono gli stessi sincronici gesti come fossero le gemelle Kessler, ma senza muoversi (qui la genialità del racconto di questa storia in versi). E infine quella stanchezza che ritarda la morte dolcemente, pur nella reciproca indifferenza.
La seconda parte di questo piccolo libro, composto da 29 testi, dà il titolo all’intero lavoro. Qui Paolo Valesio ci racconta, tra le altre cose, di un laghetto che attende la pioggia, i colori dei disegni di Van Gogh, la via Ugo Bassi di Bologna attraversata da una fisarmonica che festeggia la Repubblica, e momenti rubati all’amore nel bar segreto chiamato KGB. E infine la poesia che chiude il libro, cioè Vent’anni appresso, dove l’autore racconta di paure immaginarie che lo investono di un’ansia primordiale, come quando si immagina che il sole non sorga più l’indomani, o il corridoio diventi una caverna verso il nulla. E in questa sospensione ansiogena trova il modo di scolpire, tra parentesi, questa frase: “(la famiglia insegna/le ipocrisie sulle quali/si costruisce la dignità dell’esistenza)”.
Paolo Valesio non è soltanto un intellettuale che contempla il mondo, ma lo attraversa con una scrittura che non è esattamente ora e qui. In una nota finale scrive: “[…] posso vivere il tempo soltanto come incrocio simultaneo, non schematizzato e non razionalizzato, di vari momenti temporali”.
Questo libretto che apre una serie di mondi a cavallo tra onirismo e realtà è un primo assaggio di un lavoro che Valesio sta ultimando per un futuro libro che vorrebbe ampliare, nei testi, le linee guida che questo piccolo ma prezioso lavoro mette in fila.
