Parigi e Libia, fronti di guerra
PARIGI – La Repubblica, pagina 2: “Parigi, ucciso attentatore nel giorno dell’anniversario di Charlie Hebdo”, “’Aveva un coltello e una finta cintura esplosiva, ha urlato Allah Akbar’. Freddato davanti al commissariato del quartiere dove l’Is voleva la strage”. Ne dà conto dalla capitale francese Anais Ginori. E’ accaduto nel diciottesimo arrondissement, davanti al commissariato della Goutte d’or, “il cuore della comunità araba del diciottesimo, enclave di macellerie halal e dove c’è una delle moschee più frequentate e sorvegliate del Paese”, “è in questo quartiere che doveva essere organizzato l’attentato mancato del 13 novembre, così come è stato rivendicato dal comunicato dell’Is. L’attacco non c’è mai stato, forse per la riluttanza di uno dei kamikaze del commando. Nel giubbotto mimetico dell’uomo che ha tentato di assaltare il commissariato, gli investigatori hanno trovato un disegno della bandiera del Califfato, una rivendicazione in arabo scritta a mano in cui afferma di agire ‘per vendicare i morti in Siria’ e giura fedeltà all’autoproclamato califfo Al Baghdadi”. Ma i dubbi -sottolinea Ginori- sono ancora molti: a cominciare dall’identità dell’uomo, che non aveva documenti. Ha firmato la rivendicazione con un nome diverso da quello trovato nell’archivio della polizia criminale dopo i prelievi. Gli investigatori sono infatti risaliti a un Sallah Ali, schedato nel 2013 per un furto nel sud della Francia. L’età però non corrisponde alla fisionomia del terrorista, che avrebbe almeno trent’anni. Per la ministra della Giustizia Christiane Taubira “non si tratta di persona legata alla radicalizzazione islamica. Le testimonianze nel quartiere sembrano contraddire le versioni degli inquirenti: “non aveva un atteggiamento aggressivo”, “non correva, aveva le mani alzate e soprattutto nessun coltello”, dice una ragazza che ha assistito alla scena.
E sull’inchiesta un’analisi di Carlo Bonini: “’Un episodio isolato’. Ma l’intelligence teme la guerra asimmetrica”, “’Un pessimo segnale’, secondo i servizi segreti europei che sospettano piani di attacchi multipli del Califfato. ‘I Balcani sono fuori controllo’”.
E Atiq Rahimi, scrittore francese di origini afghane, dice: “In questa città ora viviamo con la paura”. Cosa pensa dell’idea di Hollande, che vuol fare decadere la cittadinanza ai terroristi con doppia nazionalità? “Credo sia un modo per ricalcare la strada indicata da Marine Le Pen e contenderne i voti. Ma qualcuno che viene a farsi esplodere, come può mai essere dissuaso dalla minaccia di fargli perdere la nazionalità?”.
Sul Corriere della Sera: “A Parigi torna l’incubo terrorismo. Ucciso in strada un ‘lupo solitario’”. Anche Marco Imarisio, che ne scrive, riferisce che le testimonianze si dividono sul fatto che l’uomo avesse urlato “Allah Akbar”, poiché alcuni si limitano a dire che parlava in arabo e gesticolava, ma non in modo minaccioso.
Il quotidiano intervista Mathieu Guidère, professore di islamologia all’università di Toulouse II: ritiene che l’azione del governo “non sia efficace. Invece di ripensare per esempio i servizi di intelligence, che hanno problemi evidenti, la maggioranza si perde dietro al dibattito lunare sulla revoca della nazionalità”.
E a pagina 3 l’analisi di Stefano Montefiori da Parigi: “La scelta di Hollande. Lo stato di emergenza diventerà permanente”. “Le nostre libertà devono essere garantite”, ha detto ieri il presidente rendendo omaggio alle vittime della strage di Charlie Hebdo: “ma la realtà sembra diversa”, scrive Montefiori sottolineando che “la sinistra al governo dà l’impressione di volere seguire gli umori di un Paese che si sposta sempre più a destra, e di essere pronta anche a rinunciare alla sua anima, a ciò che la distingueva dalla cultura politica dell’ex ‘primo poliziotto di Francia’ Nicolas Sarkozy. Il testo sotto esame al Consiglio di Stato offre al pubblico ministero potenti mezzi di inchiesta, come le perquisizioni a domicilio che in epoca pre-terrorismo dovevano essere autorizzate dal giudice istruttore, e adesso non lo sono più. Anche cimici, telecamere e software potranno essere usate su semplice ordine della procura”.
Su La Stampa, pagina 3, la corrispondenza da Parigi di Paolo Levi, riferisce che forse l’assalitore era uno “squilibrato” , espressione usata dalla ministra della Giustizia Taubira, che ha escluso “legami con la radicalizzazione islamica violenta”.
Sulla stessa pagina l’analisi di Lorenzo Vidino: “Garanzie democratiche e numeri in crescita. I flop dell’intelligence sono inevitabili”, “In Francia sono 11 mila i soggetti considerati ‘radicalizzati’”. Se le autorità francesi volessero controllare a stretto giro tutti gli 11.000 soggetti radicalizzati avrebbero bisogno di 264.000 agenti.
Su Il Fatto Quotidiano: “Lupi solitari e kamikaze mancati: la firma dell’Isis”, “Francia. Un ventenne all’assalto di un commissariato nel giorno della ricorrenza di Charlie. La Turchia: sventata strage in Europa”. Scrive Luana De Micco che i servizi segreti turchi hanno dichiarato di aver sventato un attacco terroristico previsto per la sera di Capodanno ad Ankara.
LIBIA – Corriere della Sera, pagina 6: “Libia in fiamme, l’Is colpisce il petrolio”, “Strage di reclute della polizia sulla strada tra Tripoli e Misurata. Incendiati 7 depositi di greggio”, “’Siamo spacciati, l’Is si sta prendendo la Libia’, commentano i giornalisti nella capitale”.
La Stampa, pagina 2: “Camion bomba dell’Is. Uccisi 74 agenti in Libia”, “Jihadisti in azione per anticipare l’offensiva delle forze fedeli a Tripoli”. L’attacco più devastante, scrive Giordano Stabile, è stato a Zlitan, una città fra Tripoli e Misurata, alleata delle milizie islamiche che dominano la Tripolitania e che, nonostante siano legate ai Fratelli musulmani, vengono considerate dall’Is troppo tiepide nell’applicazione della sharia e quindi da distruggere. Zlitan finora era stata al riparo dalla guerra civile.
Sulla stessa pagina il “retroscena” di Guido Ruotolo: “Le Brigate di Misurata, le teste d’ariete su cui scommette l’alleanza occidentale”, “Alcuni gruppi già pronti a intervenire per respingere gli islamisti”. Dove si sottolinea che i jihadisti hanno deciso di colpire e lanciare la controffensiva, giocando d’anticipo, prima che le forze lealiste di Misurata (e Zintan) e i Paesi della coalizione internazionale decidano di accogliere l’appello del governo di pacificazione del premier incaricato Serraj, il cui governo dovrebbe insediarsi a febbraio.
La Repubblica: “Camion-bomba in Libia, l’Is fa strage di reclute”, “Oltre 70 i morti a Zlitan. Offensiva contro i pozzi di petrolio, ‘Vogliono provocare l’intervento dell’Occidente’”. E lo “scenario” di Renzo Guolo: “Kamikaze e terrore, aperta la sfida contro la missione internazionale”, “Nelle aree petrolifere le azioni dei jihadisti puntano a impedire che qualcuno prenda il controllo dei ricchi giacimenti”, “Daesh esporta la strategia usata in Siria e in Iraq: vuole mostrare a chi vorrebbe controllare il territorio il destino che gli verrà riservato”.
Il Fatto Quotidiano: “Libia, il governo non c’è: Daesh alza il tiro”, “Agguato a Zliten. Camion-bomba contro sede della polizia, 70 morti. Il Califfo rivendica”. Ne scrive Nancy Porsia ricordando che il primo ministro designato a guidare il governo unitario, Fayaz Sarraj, era impegnato in Tunisia proprio per definire i dettagli del nuovo esecutivo. Ma Zliten, scrive Porsia, non è certo l’unico tallone d’Achille in un Paese in piena guerra civile. I circa 3500 uomini del Califfato sono distribuiti nel Paese nel deserto del Sud, nell’Est tra Bangasi e Derna, al centro con la proclamazione della Provincia del califfato a Sirte e ad Ovest nella città di Sabrata.