Con la Siria contro lo Stato islamico
Sul Corriere della Sera, pagina 8: “Attacco al cuore della Damasco sciita. L’Isis rivendica la strage: 60 morti”, “Un’autobomba, poi due kamikaze vicino a uno storico luogo di culto. Oltre cento i feriti”. Ne scrive Viviana Mazza, spiegando che l’attentato ha colpito il bindatissimo quartiere sciita di Sayyda Zeinab, un sobborgo popolare nel sud est rurale di Damasco. Gli estremisti sunniti dell’Is hanno sottolineato, nel loro comunicato, di aver mirato a far strage di “apostati politeisti”. La zona di Sayyda Zeinab è presidiata dal movimento sciita libanese Hezbollah, fedele al presidente Assad e da volontari sciiti giunti da tutto il Medio oriente: è uno dei luoghi più sacri agli sciiti, poiché vi sorge il santuario che custodisce la tomba di una delle nipoti di Maometto, nonché figlia di Alì, considerato da loro il legittimo successore del profeta. A pagina 9 l’analisi di Davide Frattini: “La guerra dei due Islam”, “il mausoleo Sayyda Zeinab è uno dei luoghi sacri della regione. E un simbolo politico da colpire”, “Appese ai muri del santuario ci sono le foto di Khameney e del capo di Hezbollah”, Hassan Nasrallah. Oltre a quelle di Imad Mughnieh, che del movimento libanese era lo stratega militare prima che gli israeliani lo eliminassero cinque anni fa. Frattini sottolinea quindi che al posto della foto del presidente Assad “stava appesa la trinità religiosa e guerriera degli sciiti”; “i primi ‘volontari’ sciiti sono venuti in Siria per difendere il santuario: si dicevano pellegrini, portavano il kalashnikov. Il coinvolgimento dell’Iran nella guerra è iniziato così”.
Sulle stesse pagine Lorenzo Cremonesi sottolinea che l’attentato è stato “un messaggio ai negoziatori di Ginevra. E ai sauditi”. Perché “ogni violenza, qualsiasi attentato o massacro in Siria, si ripercuote negativamente sui tentativi di negoziati di pace iniziati venerdì a Ginevra sotto l’egida dell’Onu”. Nei giorni precedenti gruppi dell’opposizione ad Assad legati all’Arabia saudita avevano posto come precondizione una sorta di limitato cessate il fuoco, oltre allo sblocco dei quartieri e villaggi assediati dalle truppe lealiste e l’eventualità di scambi di prigionieri: “per certi aspetti questo fatto è positivo. Indica che le controparti tanto faticosamente portate in Svizzera dall’inviato Onu per la Siria Staffan De Mistura sono veramente rappresentanti delle fazioni in lotta. Devono rendere conto a milizie e forze importanti sul campo”. Ma “il rovescio della medaglia” sta nel fatto che “qualsiasi estremista, anche della più minuscola delle fazioni, è potenzialmente in grado di bloccare i negoziati con l’ennesimo attentato. Ieri la delegazione di Bashar Assad ha avuto gioco facile nel puntare il dito contro i capi ribello accusandoli di essere ‘collusi col terrorismo’ di Isis e vanificando le loro richieste”. Ma l’elemento che più salta agli occhi è la mancanza di contatti tra Teheran e Riad: le due potenze regionali guidano lo scontro tra sunniti e sciiti restano distanti. E la comunità internazionale si muove in punta di piedi: “lo dimostra il plateale silenzio con cui è stato permesso alla Turchia di scacciare la delegazione dei combattenti curdi siriani. Dove sono finiti i tanti che fremevano per la resistenza di Kobane un anno fa? Alcuni tra i maggiori nemici di Isis vengono esclusi dai negoziati e nessuno dice una parola”.
Su La Stampa, pagina 2: “L’Isis fa strage a Damasco contro gli sciiti e i negoziati”, “Colpita la zona della capitale protetta da Hezbollah e milizie irachene. Prima un’autobomba e poi due kamikaze: 60 morti e centinaia di feriti”. Giordano Stabile dà quindi conto dell’impegno di combattenti sciiti a difesa del santuario di Sayyda Zeinab: Hezbollah manda uomini scelti, “ma almeno dall’autunno scorso ci sono anche volontari sciiti iracheni nell’area, che hanno stabilito il loro quartier generale e gli alloggiamenti per i combattenti negli isolati tutto attorno. Non potendo colpire il santuario, lo Stato islamico ha cercato di far strage fra loro ma ha massacrato anche molti civili”.
E sulla stessa pagina l’articolo di Rolla Scolari: “Sayyda Zeinab, la moschea simbolo dello scisma e della lotta al Califfato”, “La difesa del mausoleo spinge al combattimento i libanesi del Partito di Dio (Hezbollah, ndr.) e gli alleati iraniani”.
A pagina 3: “Veti incrociati e bombe. Così i colloqui di Ginevra restano a rischio collasso”, “per i diplomatici è ‘positivo’ che l’opposizione sia arrivata. Ma si teme che gli attentati offrano la scusa per far fallire tutto”. Di Alberto Simoni.
Su La Repubblica, pagina 2: “Is, strage a Damasco. A Ginevra i colloqui governo-opposizione”, “Sessanta morti vicino a un mausoleo sciita. Trattativa in salita: incontri separati con l’Onu”. A scriverne, da Ginevra, è Vincenzo Nigro. Che spiega che l’opposizione è arrivata sabato sera, dopo una raffica finale di telefonate di De Mistura ai sauditi e a chiunque avesse influenza su di loro. Il gruppo raccolto sotto la sigla “High Negotiations Committe” è stato creato seguendo una direttiva approvata dall’Onu a Vienna il 14 novembre, ma individuato da colloqui che si sono tenuti in Arabia saudita. Sono rimasti fuori gruppi, come i curdi o come alcuni gruppi siriani ‘liberali’ che l’Arabia saudita non protegge e non arma, ma che pure sono presenti in Siria”. Ieri mattina De Mistura si è inventato una visita “di cortesia” nell’albergo dell’opposizione per avviare il dialogo: quelli dell’Hnc non sono voluti entrare nel Palazzo dell’Onu.
Lo stesso Nigro intervista Monzer Makhous, portavoce del gruppo dei 15 negoziatori siriani dell’High Negotiations Committe. Dice: “per il momento non ci saranno trattative dirette. Abbiamo visto solo De Mistura”. Perché non volete partecipare ai colloqui? “Perché abbiamo chiesto il cessate il fuoco, l’invio di aiuti umanitari alle città assediate, il rilascio di donne e bambini, ma nessuna di queste richieste viene accolta”, “governo di unità? Ne vogliamo uno nuovo, senza la macchina repressiva del regime”.
A pagina 3 l’analisi di Bernardo Valli: Sul tavolo il nodo del destino di Assad all’ombra della sfida tra Teheran e Riad”. “Una coalizione, quella russo-iraniana -scrive Valli- è fedele a Bashar el Assad. Se transizione ci deve essere, va realizzata attraverso una procedura che possa salvare il regime di Damasco. Il suo crollo lascerebbe il Paese in preda a gruppi fanatici. L’Arabia saudita, e con essa i ribelli dell’Alto comitato per i negoziati, vogliono invece una rapida fine di Assad”.
Su Il Fatto, pagina 2, analisi di Giampiero Gramaglia: “Tutti contro tutti, ma non contro l’isis”, “Dalla Russia agli Usa, dalla Ue alla Turchia: sono divisi sul come agire. E i terroristi sorridono”.