La morte di Giulio Regeni
Su La Stampa: “Il mistero dei venditori ambulanti dietro la morte di Giulio al Cairo”, “Il giovane era controllato dalla polizia segreta per la vicinanza ai sindacati indipendenti. Forse tradito da un informatore. Pressing delle autorità italiane per scoprire la verità”. Spiega Francesco Grignetti, inviato al Cairo, che interessandosi ai sindacati indipendenti, Regeni aveva toccato un nervo scopertissimo per il regime egiziano. Si stava dedicando al mondo dei taxisti e a quello dei venditori ambulanti. Ma se il primo ambito non ha connotazioni politiche, il secondo è molto più delicato di quanto non si possa pensare. Non soltanto perché gli ambulanti del Cairo sono moltissimi ed arrabbiati con il governo che li ha scacciati dalla Città vecchia e quindi sono tenuti sotto controllo per evitare disordini. Ma perché spesso il loro lavoro li trasforma in informatori della polizia: e quel giovane che parlava qualche parola di arabo e un inglese inappuntabile, con i suoi incontri, aveva certamente suscitato l’interesse degli apparati del regime. Sulla stessa pagina il “retroscena” di Francesca Paci dal Cairo raccoglie le voci di colleghi e conoscenti di Giulio: “’Il governo racconta solo bugie. Quello di Regeni è un omicidio di Stato’”.
A pagina 5: “Fratture multiple e volto tumefatto. Così hanno infierito gli aguzzini”, “La rottura di due vertebre è la causa certa del decesso del ricercatore”.
Su Il Giornale se ne occupa Fausto Biloslavo: “Al Cairo i nostri investigatori, ‘Aiuto egiziano non scontato’”, “Sono in 7 a partecipare alle indagini. L’ambasciatore italiano Massari: ‘Ma all’Egitto conviene collaborare’”. E sulla stessa pagina, ancora a firma di Fausto Biloslavo, il “retroscena” analizza “l’ipotesi più probabile”: “’Gli 007 non c’entrano, Giulio finito in mano a squadre paramilitari’”, “Un alto funzionario di polizia italiano: ‘I servizi segreti non avrebbero fatto trovare il corpo’”.
Su La Repubblica un articolo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini: “’Giulio torturato perché pensavano che fosse una spia’”, “L’autopsia conferma la pista dell’omicidio politico. Lo scontro tra apparati e i tentativi di depistaggio”, “I contrasti sullo sfondo tra il Mukhabarat e i servizi segreti militari dai cui ranghi proviene il presidente”.
In basso, l’intervista di Francesca Caferri a Mohamed Soltan, che è stato detenuto per 21 mesi (e 16 li ha passati facendo uno sciopero della fame) con l’accusa di aver sostenuto i Fratelli musulmani. Dalla cella è uscito in barella, grazie al fatto di essere cittadino egiziano ed americano. Dice: “’conosco quelle celle, ho rivissuto il mio incubo’”, “in quelle carceri ci sono dei selvaggi che commettono impunemente ogni tipo di violenza”.
Il Corriere della Sera dedica al caso Regeni le pagine 12 e 13. “Dalla festa al ‘ritrovamento’. Tutti i depistaggi degli egiziani”, di Fiorenza Sarzanini. Viviana Mazza scrive invece della “ricostruzione” dell’accaduto: “Il corpo ‘scaricato’ vicino a una prigione dei servizi segreti”, “Nessuna traccia del presunto incidente”. E sulla stessa pagina lo scrittore Javier Cercas scrive del “dilemma inaccettabile”: “non si può accettare il dilemma tra terrorismo dell’Isis o terrorismo di Stato”.
Al caso Regeni è dedicata anche la prima parte dell’intervista al ministro degli Esteri Gentiloni, che compare su La Repubblica ed è firmata da Giampaolo Caladanu. “L’Italia -dice il ministro- non si accontenterà di una verità di comodo, l’Egitto aiuti i nostri agenti”, “Abbiamo chiesto e ottenuto che al Cairo funzionari investigativi del Ros e della polizia possano partecipare alle indagini egiziane”; “l’Egitto è un nostro partner strategico e ha un ruolo fondamentale per la stabilizzazione della regione. Questo non ci ha mai impedito di promuovere la nostra visione del pluralismo e dei diritti umani. Qui però ci troviamo di fronte a un problema diverso, cioè il dovere dell’Italia di difendere i suoi cittadini”. Sulla Libia: “Daesh si consolida a Sirte ma noi continuiamo a scommettere su un nuovo governo unitario in Libia”. Sull’Iraq: “Il nostro impegno, tra l’altro, sarà armare e addestrare i peshmerga e formare la polizia irachena”.