21 Novembre 2024
Words

Le primarie americane

La Stampa dedica le pagine 6 e 7 a quelle che definisce “le primarie degli ousiders”. Sul fronte democratico: “Sanders batte Hillary e cerca il voto dei neri”, “Il socialista prima trionfa in New Hampshire poi va a New York dal reverendo Al Sharpton”. E’ Francesco Semprini dal New Hampshire a dar conto del “trionfo alle primarie” di Bernie Sanders, con il suo 60% dei voti ottenuto nel “Granite State”, contro il 38% di Hillary Clinton. Sanders “ha fatto incetta di voti in ogni sacca elettorale, tra i giovani, nonostante i suoi 74 anni, gli operai, i colletti bianchi, scoraggiati e indecisi, e donne. Quel ‘tradimento rosa’ che Hillary temeva alla vigilia”.
Vittorio Zucconi, su La Repubblica, a proposito di quella che definisce la “disastrosa campagna nel New Hamspshire” di Hillary Clinton: “Troppi soldi e falsità, la coppia ‘Billary’ non funziona più”. “E’ il ‘big money’, è Wall Street, obiettivo comune degli opposti populismi di Trump e Sanders, quello che sta affondando Hillary”, e la coppia più potente d’America, scrive Zucconi. I Clinton “sono vittime del loro successo. Quei 21 milioni incassati da lei per tenere discorsi a società come la Goldman Sachs (250 mila a serata), incarnazione di tutto il male nell’immaginazione popolare, quei 163 milioni già versati nei suoi forzieri dai Super Pac, dovevano essere le ali per il volo della Prima Signora Presidente. Sono diventati la macina da mulino che il suo avversario e il disgusto popolare per la finanza rapace le ha appeso al collo”. Bill, il marito, “è furioso” con lei perché la accusa di aver ripetuto gli stessi errori del 2008, quando sottovalutò sprezzantemente l’insidia del giovane afroamericano Obama. Lui è “invadente”, logorroico e paternalistico.
Su La Stampa scrive Paolo Mastrolilli: “Trump, il ciclone che travolge i rivali”, “Il magnate con il 35% surclassa Rubio e Crzu. ‘Sarò il più grande presidente mai creato’”. E, sulla stessa pagina: “Bllomberg, Biden e Romney, i ‘presentabili’ che potrebbero sbloccare la corsa”, “I democratici in cerca di un candidato di consenso guardano all’ex sindaco di New York e al vicepresidente. E a destra rispunta il nome del rivale di Obama del 2012”. Qualche giorno fa l’importante finanziatore del partito democratico Bill Barthman -scrive Mastrolilli- ha chiesto ai colleghi di tenersi pronti a dare soldi al vicepresidente Biden, che andrebbe precettato se la campagna di Hillary implodesse.

Sul Corriere della Sera, in prima, Maria Laura Rodotà: “Hillary Clinton e quel femminismo che non funziona”. “Perché le ragazze del New Hampshire non hanno votato per Hillary Clinton? Basta fargli due conti in tasca. Lavorano troppo, le pagano poco, piuttosto che votare una donna, hanno preferito mandare un segnale anti-establishment”, scrive la Rodotà.
A pagina 11, “Voto di donna”. Con le intervista alla scrittrice femminista Erica Jong, 73 anni, che dice: “Hillary la migliore. Ridicole le giovani che le danno contro”, “Queste ragazze non conoscono la sua storia, tutto quello che ha fatto per promuovere l’emancipazione delle donne”. E di fianco, di opposto parere, Sarah Leonard, 27 anni, autrice di saggi su politica e femminismo sulle riviste ‘Dissent Magazine’ e ‘The New Inquiry’, che dice: “Politica senza anima. Si dice femminista ma è solo per calcolo”, “Parla alle ricche. Come mi ha detto una sindacalista: vorrei avere una donna presidente, ma non posso permettermi Clinton”.
Sempre sul Corriere della Sera: “Bernie sfata un tabù: è il primo ebreo a vincere le primarie”, scrive Massimo Gaggi.

Su La Repubblica: “La vittoria di Bernie, il socialdemocratico che parla ai cuori”. Ne scrive Federico Rampini, sottolineando che “in New Hampshire ha stracciato la rivale”. Sanders “resuscita lo spirito di Occupy Wall Street”, “fa presa sui giovani e sui tanti feriti dalla crisi”. Nella serata del trionfo in New Hampshire il senatore del Vermont ha illustrato la sua “ricetta” e la prima lezione che ha voluto sottolineare è la seguente: “I progressisti vincono quando c’è un’alta affluenza alle urne, i conservatori vincono quando la gente è demoralizzata e non vota”. Ora per Hillary diventano cruciali gli appuntamenti nel Nevada e nel South Carolina: là c’è un elettorato più variegato e la saggezza del clan Clinton dice che a Sud e a Ovest si gioca in casa grazie a neri e ispanici. Ma quel modo di calcolare a freddo il peso delle varie constituency storicamente legate ai Clinton, secondo Rampini non fa i conti con la capacità di Sanders di creare un movimento, un’emozione nuova, facendo salire a livelli record l’affluenza alle urne. I giovani ispanici e neri “potrebbero votare seguendo una mobilitazione generazionale, ‘l’insurrezione dal basso’ che resuscita lo spirito di Occupy Wall Street. Quel movimento fu breve, effimero, ma la crisi che lo scatenò non è dimenticata”.
Su La Repubblica: “Repubblicani frantumati, Trump vola”, “Sommando i voti dell’opposizione al miliardario arriva al 60%, ma nessun nome emerge”, scrive Alberto Flores D’Arcais. Che sottolinea, a proposito dei risultati nel New Hampshire: “Per Donald Trump hanno rappresentato la ‘tempesta perfetta’, per l’establishment del Grand Old Party, alla disperata ricerca di una seria alternativa al candidato-miliardario, i risultati del New Hamshire non potevano essere peggiori. Perché invece di ridurre il lotto dei candidati possibili, lo ha addirittura allargato: facendo emergere un inaspettato ‘numero2’ come il governatore dell’Ohio John Kasich (15,7% dei voti: qualche giorno fa proprio a lui era andato l’endorsement del New York Times), rilanciando le (scarse) possibilità di Jeb Bush (11%), mantenendo in piena corsa il campione dei Tea Party Ted Cruz (11,7%) e ridimensionando il senatore della Florida Marco Rubio (10,5%), travolto dagli attacchi degli altri e dalla sua pessima performance nell’ultimo dibattito televisivo prima del voto. Sommando tutti i loro voti l’opposizione a Trump supera il 60 per cento (un dato simile vale anche a livello nazionale) eppure, al momento, la sua marcia appare quasi inarrestabile”.