Putin esce dalla Siria e rafforza la Russia
Vladimir Vladimirovic Putin ha dichiarato la fine dell’impegno diretto delle forze russe in Siria. Salvo, naturalmente, la protezione delle basi di Tartus e di Latakia sulla costa mediterranea siriana. È una scelta razionale, fuori dallo schema di un “leader imperiale” che molti ingenui analisti occidentali hanno dipinto intorno alla figura del capo del Cremlino. È stato, quello russo, un intervento durato cinque mesi e mezzo, con oltre 9000 raid degli aerei da caccia, aiutati da sistemi di rilevamento a terra ben più evoluti di quelli impiegati dagli occidentali. Le forze russe hanno esercitato una distruttività mai prima verificatasi contro l’Isis; senza contare l’azione unificante dei militari di Putin nei confronti di tutte le forze (curdi, hezbollah libanesi, Esercito Arabo Siriano di Assad, Pasdaran iraniani) che sono state catalizzate e rafforzate dall’intervento del Cremlino. I risultati sul terreno sono stati rilevanti: l’accerchiamento di Aleppo e quindi la chiusura della vena giugulare del Daesh/Isis, il confine turco; e l’arrivo vicino a Raqqa dell’Esercito di Bashar el Assad, rinnovato nelle tecnologie e rimbaldanzito dal sostegno strategico russo. A Raqqa, la capitale del califfato di Al Baghdadi, operano già, sotto copertura, le forze del Baath siriano, il partito-stato degli Assad (e, all’epoca, di Saddam Husseyn) che fanno intelligence e guerriglia contro le ormai ridotte forze dell’Isis.
Il califfato ha compreso che non può espandersi in Siria e in Iraq e quindi ha cominciato la sua espansione in Libia, nella penisola del Sinai, nella provincia di Al Anbar in Iraq dove si scontrerà con la durezza della reazione iraniana. Si parla anche di un accordo, lo rivelano fonti tedesche, tra il Daesh-Isis e l’altro gruppo terrorista Al Nusra con il governo di Assad, accordo autorizzato dai russi, che consente l’uscita dei jihadisti dall’area meridionale di Damasco. A ciò farebbe seguito la liberazione dai jihadisti del campo rifugiati di Yarmuk, che permetterà la sopravvivenza di circa 200.000 civili siriani. Il solo esercito di Assad ha liberato, da poco, la strada che va da Damasco ad Aleppo, tagliando i rifornimenti per il Daesh-Isis, che ormai ha un tasso di diserzione ormai stellare. I russi e gli alleati dell’esercito di Assad hanno reso difficili e rare le comunicazioni e gli scambi che il Daesh-Isis gestiva con l’esterno, ad ovest di Kobane e a nord di Mosul.
Le ragioni del lento ritiro di Putin dalla Siria sono facili da comprendere. In primo luogo, il Cremlino rafforza e pone sotto il proprio sigillo i negoziati di Ginevra sulla Siria, rendendoli credibili. Diversamente da quello che accade con le infinite chiacchiere sui due governi libici, che raramente e solo per breve tempo si uniranno per volere dell’ONU. Ammesso che Al Serraj, il premier designato, arrivi vivo in Libia da Shkirat, in Marocco, sede del suo governo. Infine, Putin rende evidente che la sua strategia, diversamente da quella degli USA, è stata efficace contro l’Isis. Certamente, poi, il capo del Cremlino vuole avere, dopo la chiusura delle operazioni russe in Siria, mani libere in un’area che è determinante per la Russia: l’Ucraina. Ora sarà possibile, per l’ex dirigente del KGB a Dresda, svolgere pressioni più dure e efficaci sulle reti autonomiste e antirusse ucraine. E l’Occidente avrà meno argomenti contro il “guerrafondaio” Putin.
Certo, il capo del Cremlino ha dovuto accorciare la permanenza delle forze russe in Siria per evitare due effetti negativi. In primo luogo il peso economico eccessivo delle operazioni in Medioriente con il petrolio “basso”, e quindi con un calo rilevantissimo di entrate per la Federazione Russa. Poi, il pericolo, sempre presente nelle memorie dei dirigenti attuali del Cremlino, di un conflitto infinito in Siria come quello che, in Afghanistan, favorì la caduta dell’URSS, quell’evento che Putin continua a considerare “una catastrofe geopolitica”. Infine, lo suggeriamo qui, il pericolo, che i russi hanno in certi momenti intravisto, di una guerra per procura, contro Mosca, da parte delle forze sostenute dagli Occidentali e dai loro alleati sunniti. Un probabile innesco di una terza guerra mondiale? Non lo crediamo, ma l’idea certamente è balenata per un momento nella testa dei decisori russi.
Rimane quindi, a livello della sua immagine in Occidente, l’idea di un Putin pacifico, ragionevole, capace di mediazioni e alleato affidabile di tutti quelli che lottano contro il terrorismo. Il ruolo peggiore, nell’immaginario dei media, rimane quello degli USA: sostenitori pasticcioni di tutti quelli che si dichiarassero contro Assad, jihadisti compresi, incapaci di controllare il palese sostegno all’Isis di alcuni alleati dell’America nel Golfo sunnita, inadatti a gestire sul terreno uno sforzo di pace. Anche sull’immaginario occidentale, che è gran parte della nostra democrazia, Vladimir Vladimirovic Putin ha vinto.