22 Novembre 2024
Culture Club

Ho incontrato Tabucchi a Granada

È sempre una curva della strada che apre all’inaspettato. E io non pensavo davvero di dover venire qui a Granada, nel giorno delle celebrazioni della morte di Miguel de Cervantes (la tv spagnola e i teatri gli hanno dedicato grande spazio in questa settimana), per trovare un piccolo universo di sincronicità. Già la bizzarria dei calendari ha messo insieme l’autore del Qujote con William Shakespeare – sono morti “insieme” i due più grandi narratori di tutti i tempi, tra il 22 e il 23 aprile – eppure non credevo di poter cadere in una trappola ancor più nostalgica, ancora più letteraria. Dopo cinque ore di automobile tra i rilievi dolci dell’Andalusia, a un certo punto si staglia davanti agli occhi la Sierra Nevada. Granada è là sotto, con le sue stradine di acciottolato, mentre magica, superba si alza la madre rossa araba che la domina: L’Alhambra. Ma non è facile visitare questo scrigno moresco. Perciò, prima della visita notturna a questa meraviglia dell’umanità, c’è tempo per perdersi nei vicoli della città. Ed è qui che mi ritrovo a dover considerare come le cose accadano inaspettate, come esistano davvero sogni di sogni.

Ho tra le mani la piccola edizione portoghese di Notturno Indiano di Antonio Tabucchi. Adesso sono dentro a questa piccola libreria che si chiama “Sostiene Pereira”, con la vetrina piena di libri usati di vari autori e soprattutto di titoli di Tabucchi.
Non so come sono arrivato fin qui. Non so come sia arrivato fin qui, fino a questa insegna, quel titolo del romanzo. Lo chiedo al signore che aprendo la porta sembrava entrassi a disturbarlo a casa sua e che adesso ha aperto le guance in un sorriso sincero. Il figlio è seduto alla cassa e legge; noi stiamo parlando felicemente della sua passione per Antonio Tabucchi, e per il suo amore per quel romanzo famoso e così diffuso dappertutto in Europa.
Non credevo, proprio oggi, di poter venire fin quaggiù, a poca distanza dalla terra marocchina, nel cuore della civiltà mediterranea, miscuglio antico di razze, di mori e bianchi, di fedeli a culo ritto e baciapile, a trovare uno scrittore amico, una memoria così forte della mia gioventù. E se non ho detto nulla di quel poco che so di Tabucchi al libraio, e se non sono stato un affabile intervistatore di questo anziano entusiasta di Granada è perché sono stato catapultato qui dentro svoltando semplicemente un angolo della calle, della strada. E l’impatto con le cose che non avrei pensato di trovare mi hanno travolto di emozioni.

Nel giorno ancora giorno di Granada, nonostante siano passate le di sera, esco dalla libreria “Sostiene Pereira” e dopo tre passi (uno, due, tre) mi ritrovo a osservare l’indicazione della strada di fronte. C’è un solo nome scritto sopra: Elvira.
Infatti, siamo a Porta Elvira. Adesso ricordo la mappa studiata prima di partire per l’Andalusia. Non so quanto tempo io sia rimasto imbambolato tra Tabucchi e la Sellerio (quella Elvira di Palermo e non quella stessa della Porta di Granada e della strada che ora mi conduce alla cena e poi, da lì, a L’Alhambra), in questo crocicchio urbano di tempi sospesi, di lettere dal nulla, di ritorni di fiamma, di episodi andati a ricovero da qualche parte nella memoria.
Sono stato fermo lì. E giuro, per un attimo, per un lunghissimo attimo che ancora dura in me, ho dimenticato completamente Cervantes e Shakespeare. Ho pensato solo a quanto ancora è vivo in questa coscienza il ricordo di uno scrittore di Pisa. Si chiamava Antonio Tabucchi.