Ho incontrato Tabucchi a Granada
È sempre una curva della strada che apre all’inaspettato. E io non pensavo davvero di dover venire qui a Granada, nel giorno delle celebrazioni della morte di Miguel de Cervantes (la tv spagnola e i teatri gli hanno dedicato grande spazio in questa settimana), per trovare un piccolo universo di sincronicità. Già la bizzarria dei calendari ha messo insieme l’autore del Qujote con William Shakespeare – sono morti “insieme” i due più grandi narratori di tutti i tempi, tra il 22 e il 23 aprile – eppure non credevo di poter cadere in una trappola ancor più nostalgica, ancora più letteraria. Dopo cinque ore di automobile tra i rilievi dolci dell’Andalusia, a un certo punto si staglia davanti agli occhi la Sierra Nevada. Granada è là sotto, con le sue stradine di acciottolato, mentre magica, superba si alza la madre rossa araba che la domina: L’Alhambra. Ma non è facile visitare questo scrigno moresco. Perciò, prima della visita notturna a questa meraviglia dell’umanità, c’è tempo per perdersi nei vicoli della città. Ed è qui che mi ritrovo a dover considerare come le cose accadano inaspettate, come esistano davvero sogni di sogni.
Ho tra le mani la piccola edizione portoghese di Notturno Indiano di Antonio Tabucchi. Adesso sono dentro a questa piccola libreria che si chiama “Sostiene Pereira”, con la vetrina piena di libri usati di vari autori e soprattutto di titoli di Tabucchi.
Non so come sono arrivato fin qui. Non so come sia arrivato fin qui, fino a questa insegna, quel titolo del romanzo. Lo chiedo al signore che aprendo la porta sembrava entrassi a disturbarlo a casa sua e che adesso ha aperto le guance in un sorriso sincero. Il figlio è seduto alla cassa e legge; noi stiamo parlando felicemente della sua passione per Antonio Tabucchi, e per il suo amore per quel romanzo famoso e così diffuso dappertutto in Europa.
Non credevo, proprio oggi, di poter venire fin quaggiù, a poca distanza dalla terra marocchina, nel cuore della civiltà mediterranea, miscuglio antico di razze, di mori e bianchi, di fedeli a culo ritto e baciapile, a trovare uno scrittore amico, una memoria così forte della mia gioventù. E se non ho detto nulla di quel poco che so di Tabucchi al libraio, e se non sono stato un affabile intervistatore di questo anziano entusiasta di Granada è perché sono stato catapultato qui dentro svoltando semplicemente un angolo della calle, della strada. E l’impatto con le cose che non avrei pensato di trovare mi hanno travolto di emozioni.
Nel giorno ancora giorno di Granada, nonostante siano passate le 8½ di sera, esco dalla libreria “Sostiene Pereira” e dopo tre passi (uno, due, tre) mi ritrovo a osservare l’indicazione della strada di fronte. C’è un solo nome scritto sopra: Elvira.
Infatti, siamo a Porta Elvira. Adesso ricordo la mappa studiata prima di partire per l’Andalusia. Non so quanto tempo io sia rimasto imbambolato tra Tabucchi e la Sellerio (quella Elvira di Palermo e non quella stessa della Porta di Granada e della strada che ora mi conduce alla cena e poi, da lì, a L’Alhambra), in questo crocicchio urbano di tempi sospesi, di lettere dal nulla, di ritorni di fiamma, di episodi andati a ricovero da qualche parte nella memoria.
Sono stato fermo lì. E giuro, per un attimo, per un lunghissimo attimo che ancora dura in me, ho dimenticato completamente Cervantes e Shakespeare. Ho pensato solo a quanto ancora è vivo in questa coscienza il ricordo di uno scrittore di Pisa. Si chiamava Antonio Tabucchi.