19 Dicembre 2024
Words

Pizzarotti, Nogarin e 5 Stelle allo sbando

Torna utile, in momenti come questi, rifarsi alla saggezza del vecchio Pietro Nenni che. Già in anno non sospetti e non ancora attraversati da scorribande moralistiche e giudiziarie, avvertiva: “A fare troppo i puri si rischia di trovare uno più puro di te che ti epura”.

Parole sante. Che forse Grillo, Casaleggio jr. e i ragazzi del movimento non conoscono. Peccato, perché a rifletterci su ne avrebbero tratto immensi benefici. Innanzitutto a proprio vantaggio. Accade dunque che ora tocchi anche ai 5 Stelle finire nei dossier della magistratura. I casi di Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, e di Filippo Nogarin, primo cittadino di Livorno, sono certo quelli più clamorosi. Nei quali si mescolano errori, abusi e pure una certa dose di ingenua arroganza. Ma il caso e la statistica vogliono che su diciassette amministrazioni rette dai seguaci di Grillo, ben tredici abbiano qualche guaio con la giustizia, a conferma , se non altro, di quanto sia difficile governare, di quanti rischi si corrano e di quanto alte siano le possibilità che la magistratura ficchi il naso delle carte degli amministratori. Con le conseguenze che vediamo, da Lodi a Livorno, da Parma a Corleto Perticara.

E però è successo che proprio in questi casi più eclatanti i 5 Stelle abbiano usato diversi pesi e diverse misure, e quindi se per le piscine di Lodi sono state invocate subito le dimissioni del sindaco Uggetti del Pd, per la spazzatura di Livorno e il Teatro Regio di Parma sono state trovate scuse e attenuanti per alleggerire le responsabilità dei primi cittadini grillini.

Salvo poi distinguere anche tra i due: mentre Nogarin, fedelissimo di Beppe, è stato difeso con enfasi e partecipazione, per il povero Pizzarotti, che non gode delle simpatie del politburo stellato, i toni sono stati molto più blandi fin da subito. E nel giro di 24 ore è arrivata la scomunica da parte dello “staff”. In ogni caso, a poco vale notare che i casi di Parma e di Livorno si presterebbero a più di un distinguo – un abuso d’ufficio o un’assunzione indebita non sono paragonabili a corruzione e concussione – perché sono stati proprio i 5 Stelle ad alzare il livello dello scontro, a fare della purezza (ci risiamo) l’arma totale, a pretendere che un avviso di garanzia basti per chiedere le dimissioni di un politico o per impedire una candidatura alle elezioni. Valga per tutti il caso recente del ministro Alfano invitato da Luigi Di Maio a dimettersi per l’arrivo di un avviso di garanzia per abuso d’ufficio: Alfano sì, Nogarin no, Pizzarotti forse?

Certo i 5 Stelle – che hanno puntato tutto sulle mani pulite (al funerale di Casaleggio la folla urlava “onestà, onestà”) – perdono un’arma forte e si trovano dinanzi a un bivio: se pretendono dimissioni a ogni stormir d’inchiesta, devono far fuori tutti i loro sindaci senza nemmeno pensarci; se cominciano a fare i distinguo per i propri, dovranno farlo anche per gli avversari. E nemmeno possono lasciare le cose come stanno valutando di volta in volta: chi decide? Grillo? Di Maio? Casaleggio jr?

E in base a cosa? A sensazioni, impressioni, personali valutazioni?

L’acme della contraddizione si è poi raggiunto con le dichiarazioni di Virginia Raggi, candidata a sindaco di Roma che, scimmiottando il complottismo berlusconiano, è arrivata a dire che i pm usano le indagini sui 5 Stelle come manganelli… E con gli altri no? Ma non basta. Chi si lamenta delle inchieste è proprio chi le ha provocate. A denunciare Beppe Sala, candidato Pd a sindaco di Milano, sono stati i grillini e i radicali; a denunciare Pizzarotti sono stati i Pd. E siccome l’azione penale è obbligatoria – quando poi si tratta di un politico il pm va a nozze… – si può stare sicuri che l’inchiesta parte, l’avviso di garanzia arriva e il caso esplode. E questo sconsiglierebbe dunque di legare l’avvio di un’indagine a immediate dimissioni perché basterebbe una denuncia per disfarsi di un pubblico amministratore. Poi, come si sa, per avere una sentenza passano anni (questo è il vero scandalo) e il gioco è fatto. Insomma, fermiamoci un attimo, riflettiamo. E ricordiamoci che l’etica non dovrebbe essere un’arma da utilizzare in campagna elettorale, ma un’esigenza generale maledettamente seria.