“Julieta” (P. Almodovar, ESP 2016)
Visto in lingua originale sottotitolato (come è quasi sempre vantaggioso) allo Champo di Parigi, questo ultimo saggio di Almodovar non va perso. Di forte potenza emotiva, stilisticamente impeccabile, è una storia non diversa come struttura da altri lavori del maestro spagnolo. Le casualità e i drammi che si intrecciano come una serie di fili lasciati in sospeso ma che poi si riannodano con una precisione in nulla casuale (con qualche momento di suspence vagamente da thriller). Ma rispetto ad altri film qua c’è una maggiore essenzialità, una maggiore asciuttezza. Non ci si vede routine, né solo alta professionalità, c’è arte. Al momento di abbandonare la Spagna per il Portogallo con il suo attuale compagno Lorenzo (Dario Grandinetti), Julieta, una donna di mezza età (Emma Suarez, J. da giovane la bella Adriana Ugarte), fa un incontro e riceve una notizia che le fa subitaneamente cambiare idea. Il film è la sua storia – raccontata per larga parte in flashback, un flashback che rappresenta e accompagna la scrittura di una lunga lettera – , quella dell’incontro con il suo primo compagno, Xoan (Daniel Grao), come esito di una conoscenza avvenuta in circostanze drammatiche – entrambi sono coinvolti nel suicidio di un dirimpettaio di scompartimento della protagonista durante un viaggio in treno – , dell’attrazione carnale che li lega e poi della costruzione della sua famiglia. Infine, del rapporto con la figlia Antìa (Priscilla Delgado e Bianca Parés) che in realtà è il nucleo fondamentale della vicenda. Julieta da giovane lavorava come supplente di lettere classiche. Pontos, come mare dove si viaggia e all’evenienza ci si perde, è un termine chiave, che a Julieta piace ricordare agli allievi, distinguendolo da altri vocaboli greci che significano “mare”. Probabilmente è un caso, ma un vocabolo molto simile a quello del nome della figlia Antià, in greco antico è Aitìa ossia “colpa” e il senso di colpa, per quanto ingiustificato, diventa un altro elemento conduttore del film. In realtà tutti sono incolpevoli della scomparsa (va pur detto) di Xoan, durante una battuta di pesca, nel momento in cui il rapporto tra Julieta, suo marito e la ragazza che lo ama enormemente e che si diletta di seguirlo nelle sue avventure marine, sembra aver raggiunto una armonia invidiabile. Ma l’attribuzione di responsabilità alla madre e poi l’espiazione di un senso di colpa che investe anche lei medesima, determinano in Antìa la scelta di allontanarsi da casa per un periodo di riflessione in una comunità di preghiera, anche geograficamente del tutto isolata, ma poi quella di tagliare per anni qualunque rapporto con la madre. Julieta non si dà pace, passano anni. Sinché non incontra Lorenzo (ed ecco che il circolo narrativo con l’inizio si chiude), amico di una compaesana e amante di Xoan, la quale è colpita da una terribile malattia. L’incontro avviene in ospedale e poi al funerale di costei. Questa riconquistata vacillante stabilità non ha una lunga durata. Julieta riavrà notizie di sua figlia rincontrandone la migliore amica, saprà quanto ancora ella è distante nonostante sia diventata madre a sua volta. Ecco l’incontro che la induce a non recarsi in Portogallo. Una ulteriore tragedia familiare porterà Antìa a scrivere a un vecchio recapito di Julieta, dimostrandole così il suo istintivo amore e, forse, la sua resipiscenza rispetto alla pena infinita che sa, o scopre, di averle provocato.
Almodòvar tocca corde delicate, commuove senza indulgere in alcun modo alla melassa, rappresenta l’esistenza, ancorché come quasi sempre nelle sue forme più estreme di disavventure e dolore, lasciando aperta una porta nonostante tutto alla forza dell’amore, fra uomo e donna, fra madre e figlia. Il viaggio in automobile con il quale si chiude il film è quanto di più efficace l’autore spagnolo potesse trovare per dare una degna conclusione a questo film durissimo e tenero ad un tempo. Un nostos, un ritorno. Splendidi alcuni dei paesaggi spagnoli ritratti, per lo più di zone impervie e montagnose (galiziane, pirenaiche) ma dominate dal colore degli arbusti virescenti.