19 Novembre 2024
Words

Giulio e il commercio del falso

Nell’ambito dell’operazione «Easy brand», a Reggio Calabria, sono state arrestate sedici persone e altre quaranta ne sono state denunciate con imputazioni molto gravi che si possono ridurre tutte al fenomeno, insieme sociale, criminologico ma anche culturale in senso lato, del «taroccamento». In sostanza si tratta di prendere un capo d’abbigliamento ma anche un accessorio firmato – cioè perfettamente in possesso del proprio «brand», o come si dice nel mondo della moda della propria «griffe» – e renderlo del tutto simile a una copia del tutto non originale ma recante i segni della stessa azienda produttrice di quel capo d’abbigliamento o di quell’accessorio. Ma che cosa vuol dire taroccare qualcosa? Perché le persone si interessano al mercato degli abiti taroccati? Perché tutto questo commercio illegale ha un così largo giro di clienti e un così rilevante bacino d’utenza oltre che di interesse che lo contorna e che lo rende così importante in quanto aspetto della realtà? L’arresto di «Giulio» – al secolo Lo Macouna – e dei suoi soci ci spinge a qualche considerazione precipua intorno a questo fenomeno. La domanda sociologicamente più rilevante ci pare essere quella del perché, comunque, un fatto di questo tipo possa interessare un così gran numero di persone. Cioè, in definitiva, perché si vendono e si comprano i «tarocchi»? La risposta a questa domanda non va ricercata nelle pagine di qualche saggio di Umberto Eco oppure in quelle del grande sociologo polacco Zygmunt Bauman ma in una qualche considerazione di senso comune. Il tarocco vende, dunque il tarocco interessa. Interessa possedere non un capo firmato ma un capo che si sa non essere firmato ma contraffatto e che reca in sé i caratteri della firma sia pure all’interno di una situazione-considerazione che fa si che, comunque, si abbia la certezza completa che quell’acquisto non è di un originale ma di una copia. Sarebbe come acquistare il ritratto della «Gioconda» dal pittore della domenica. Io so benissimo che quel dipinto non è originale eppure lo acquisito egualmente. Sembra a questo punto emergere una cifra interpretativa: si acquista il tarocco perché il valore e il peso della firma sono talmente alti che questi due elementi superano di gran lunga il fatto stesso, indubitabile, che quel che si è acquistato non è un originale. Dunque l’arresto di «Giulio» sarebbe interamente da riportare al peso della firma. Ma perché il «Logo» è così rilevante? Naomi Klein nel suo volume No logo (Bur, 1999) ha spiegato che il capitalismo odierno ha sostituito la produzione con un investimento massiccio sul marchio e su una serie di valori immateriali e ideali legati ad esso. Dunque si predilige il tarocco perché il capitalismo ha effettuato questa torsione e tutti i clienti di «Giulio» non stanno facendo altro che ubbidire a una delle logiche con cui si muove il capitalismo attuale. Oppure c’è un’altra risposta alla nostra domanda …. Si predilige il «logo» perché in fondo è meglio di niente: è quasi come avere in mano l’originale, in qualche maniera ci avvicina sempre più alle grandi aziende del capitalismo mondiale. Ma esiste in ogni caso, qualche che sia la risposta alla nostra domanda, un elemento di stupidità in tutto questo. Si acquista il tarocco sapendo benissimo che esso è un tarocco. Ed ecco che m’immagino una tranquilla famigliola reggina che è consapevole e tranquillamente sicura del fatto che bisogna vestirsi solamente di tarocchi. «Mamma, ho comprato questa maglietta Armani sul Corso». «Noooooooo. Che hai fatto? La dovevi prendere da Giulio!». Chiaramente questa ipotesi non regge. Dunque non rimane, per rispondere alla nostra domanda, che considerare la seguente proposizione: io acquisto X sapendo benissimo che X è falso. La soluzione del nostro enigma è dunque: io acquisto un falso. E per questo carabinieri e polizia si sono messi in moto nel corso dell’operazione «Easy brand». Non importa che io sappia che quello è un falso, quello che conta e che qualcuno mi stia vendendo un falso. Dunque, a livello sociologico, arriva un’altra deduzione: sono affari miei, del tutto miei, se voglio acquistare un falso. E così abbiamo finito. E abbiamo risposto alla nostra domanda. I tarocchi piacciono alla gente non perché sono veri ma perché sono falsi. Cioè piacciono nella loro falsità, nella loro combinazione di realtà e finzione, nella loro mancanza di senso e nello stesso momento grande pregnanza di senso derivata dall’affratellamento con la marca originale che pure mai si raggiunge pienamente. Piace il falso in quanto falso. E non perché sia quasi come il vero. E non perché qualcuno possa mai credere che sia davvero originale. E non perché sia meglio che niente del tutto … Il tarocco piace proprio in quanto è un tarocco.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.