La fan di Safran Foer
Un caso letterario. È l’anno del giovane e prolifico Jonathan Safran Foer, che ha fatto recentemente un tour in Italia. Se la base del suo romanzo di 672 pagine (pubblicato da Guanda) è lo sfaldamento della famiglia, della contemporanea incertezza della parola, di sostegni religiosi che vengono meno mescolati al rumore di fondo delle opinioni senza verità, senza ombra di dubbio questo romanzo è e sarà la roccia nella bibliografia dello scrittore, il tomo che lo consacrerà definitivamente all’attenzione internazionale. Del resto, cominciare un romanzo con la frase “Quando la distruzione di Israele ebbe inizio…” non può lasciare indifferenti, come il seguito: un periodo lungo una pagina con una ventina di frasi coordinate, separate da punto e virgola.
È così che preparandosi per leggere Eccomi, nuovo romanzo dello scrittore americano, ci ritroviamo in libreria, davanti allo scaffale, insieme a Teresa, una ragazza che ci spiega perché sta comprando il libro e per quale motivo è andata a vedere Foer al Festival della Mente di Sarzana.
“Voglio vedere Safran Foer perché sono curiosa di capire da dove arrivano le parole dei suoi libri. Mi suona strano che un mio coetaneo di nemmeno 40 anni possa scrivere con tanta profondità. Ma forse non è nemmeno profondità. Direi piuttosto un tempo universale. Sembra che quello di cui parla possa essere collocato in ogni epoca. Nel suo precedente libro Molto forte, incredibilmente vicino la storia parte dai fatti dell’11 settembre, ma il tipo di riflessione che ne consegue perde di vista completamente gli episodi storici e verte su temi classici: la famiglia, le radici, l’identità”.
Teresa ha già letto le prime tre pagine del nuovo romanzo qui in libreria, ma vuole spiegare i motivi della sua attrazione per Foer: “È come se fosse un vecchio che guarda al mondo e cerca con la scrittura di riportare i fatti all’attenzione di chi vecchio non è. La nonna che dice “Se niente importa, non c’è niente da salvare” potresti calarla in qualsiasi momento e avrebbe la stessa forza. Il mio libro preferito è proprio Se niente importa. È il primo che ho letto e siccome sono vegetariana mi ha intrigato perché non parla di proclami etici ma fa una specie di inchiesta sugli allevamenti intensivi. Si interroga, mentre sta per nascergli un figlio, su come lo alimenterà e qui c’è già la famiglia, ma il suo racconto spazia nelle proprie memorie d’infanzia dando subito uno spessore fortissimo a tutto ciò che viene narrato dopo. Non è una scelta etica ma la consapevolezza di chi affonda lo sguardo sulla storia familiare per trasmettere quei valori di sempre a chi viene generato dopo di lui. Attraverso l’offerta del cibo ai propri bambini si ha l’apoteosi dell’amore genitoriale: nutrire come primo elemento di amore. Tutti i polli di allevamenti industriali che noi mangiamo sono uccisi violentemente. Dopo aver fatto la sua inchiesta nei macelli pubblici Foer si chiede come potrebbe essere trasmesso l’amore da tutto questo dolore”.
Chiedo a Teresa se quelle prima tre pagine che ha letto qui in libreria la appassionano come gli altri libri del suo autore preferito, ma la risposta è inaspettata: “Dai pezzi di libro che ho letto non sono particolarmente conquistata. Ho riconosciuto il suo modo di scrivere, ma mi lascia dubbiosa. Lo leggerò soltanto perché l’ha scritto lui”.