Pd, la resa dei conti
Siamo al lumicino, a una resa dei conti ormai sul tono del film di Tarantino Le Iene: tutti contro tutti. Non più neppure correnti, bande, gruppi ma tanti individui allo sbaraglio: per un vitalizio, per un risarcimento danni, per protervia, per riscatto o vendetta. Il PD è alla frutta, ed è lo specchio di questa Italia malandata e affaristica, depressa e vendicativa, che guarda alle sue spalle e non all’orizzonte che ha davanti. Un Paese distrutto, non tanto nella geografia fisica, quanto in quella umana; non proprio nel capitale economico, ma soprattutto nel capitale sociale. Un congresso?, Elezioni? Il PD non esiste più, o almeno non come l’abbiamo conosciuto finora.
I toni ultimativi della kermesse della sinistra e gli ultimatum dei tre sfidanti alla segreteria hanno irrigidito Matteo Renzi. Domani il segretario trarrà il dado: non sono io a volere la rottura, siete voi che avete cambiato idea non perdendo occasione per demolire me e quanto fatto in questi anni, sarà il ragionamento del leader che, dopo aver ripetuto che il governo Gentiloni non ha scadenza, si dimetterà convocando il congresso subito per celebrare le primarie o il 9 aprile o, al massimo, il 7 maggio.
A poche ore dall’assemblea, che porterà alla scissione se nessuno dei due fronti si fermerà, fervono i contatti: data per scontata l’uscita di Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, Lorenzo Guerini, Dario Franceschini e Andrea Orlando provano, a quanto si apprende, a convincere l’area che fa capo a Michele Emiliano ed Enrico Rossi. Ma tra i fedelissimi, cresce l’insofferenza contro i “ricatti” della minoranza e la linea trattativista che, come dice il consigliere economico di Renzi Luigi Marattin, “fa tanto saggio ma non considera la realtà”, cioè che l’unico obiettivo della minoranza, secondo i renziani, è solo ottenere la testa di Renzi e quindi nessuna mediazione basterebbe.
Renzi da Firenze sta sentendo tutti ma, a quanto si apprende, domani tirerà dritto, mettendo in fila la strumentalità delle ragioni della minoranza e convinto di avere dalla sua i numeri dell’Assemblea, dove il 65 per cento dei componenti è della maggioranza dem. Certo ribadirà, come già detto in direzione ma per togliere ogni “alibi” alla minoranza, che il governo deve lavorare, non ha scadenza pur sottolineando l’incongruenza della sinistra interna che, quando Gentiloni si insediò dopo le dimissioni di Renzi, annunciò che avrebbe valutato l’attività del governo provvedimento per provvedimento. Ma d’altra parte, incalzerà l’ex premier, anche sul congresso è stata la sinistra a cambiare più volte idea, chiedendo prima di non farlo, poi di farlo e ora di rinviarlo a settembre.
A questo punto va anche bene un confronto programmatico nella fase di avvio del congresso, come proposto da Orlando e Martina, ma l’iter congressuale deve concludersi prima delle amministrative per avere in sella un leader pienamente legittimato. L’ultima offerta, arrivata dall’area di Emiliano, di fare le primarie a luglio pur aprendo subito il congresso sarebbe stata, a quanto si apprende, rinviata al mittente.
Se la minoranza accetta la fase programmatica dentro il congresso le primarie potrebbero celebrarsi il 7 maggio altrimenti, se la minoranza dirà no, il congresso può anche chiudersi il 9 aprile. “A questo punto vediamo che cosa fa Emiliano, se davvero vuole unirsi con quelli che oggi cantavano Bandiera Rossa“, ironizzano i renziani duri e puri sottolineando la distanza siderale tra le due anime del partito e convinti che “la scissione non è il peggiore dei mali” ma un nuovo inizio per tornare al renzismo della prima ora.