“Manchester by the sea” (di K. Lonergan, USA 2016)
Uno dei più importanti film della stagione: asciutto, rigoroso, coinvolgente. Due Oscar che avrebbero forse potuto essere tre (vedi oltre, alla fine della recensione). Ne è autore il newyorkese Kenneth Lonergan (1962), nato nel Bronx da famiglia ebrea della buona borghesia. Il cinquantacinquenne sceneggiatore (si ricordi Gangs of New York, 2002), attore e regista ha al suo attivo due soli altri film: Conta su di me (2000) e Margaret (2011).
Manchester non è la città industriale della Gran Bretagna, sede di una cospicua università e celebrata per i due grandi club di football del City e dello United. E’ un piccolo comune marino del Massachussets, nel quale si svolge la dolorosa umanissima vicenda di Lee Chandler. Lee è un uomo sui trentacinque-quarant’anni, che vediamo arrangiarsi al lavoro di portinaio nella vicina Boston, dove vive in un seminterrato. Ma nel suo passato c’è la perdita dei tre figli in un incendio accidentale del quale però porta sulla coscienza qualche responsabilità. Muore successivamente per un infarto suo fratello Joe (Kyle Chandler), e Lee da Boston torna nella sua piccola patria giacché deve fare da tutore al nipote Patrick (Lucas Hedges), rimasto di fatto orfano (sua madre è un’alcolizzata che Lee nelle sue vesti legali, e accettate di malavoglia, cerca di tenere lontana dal figlio).
Questa sinossi sembrerebbe persino “troppo” tragica, e dunque suscettibile di togliere credibilità al film. Ma non è così, lo sappiamo, e simili eventi che ti sconvolgono l’esistenza possono accadere ovunque in qualunque momento. Molto di quanto vuole dirci Lonergan ruota attorno ai motivi della solidarietà incontrata da Lee fra gli amici e i vicini, dell’andare avanti e vivere nonostante tutto, con dignità e coraggio. Sua moglie Randi (una delicata Michelle Williams), la madre dei suoi tre figli, scampata all’incendio, si è rifatta una vita. La colpevolizzazione del marito, inevitabilmente abbandonato, lascia spazio alla pietà umana, ad un amore forse non del tutto svanito. E’ in ogni caso significativo che Randi rivedendolo dopo anni dica a Lee “ti amo”. Una ragione di vita gli è la cura del nipote adolescente, con l’istintualità e la necessità di riaprirsi alla comunicazione col mondo che Patrick gli trasmette; ed è il mondo provinciale di Manchester, dal quale Patrick non si vuole staccare per trasferirsi a Boston con lo zio. Centrale è naturalmente il rapporto tra i due, un rapporto che aveva già posto le sue basi nei tempi felici delle gite in barca e della pesca, degli sfottò tra fratelli. La barca di Joe passata ai suoi parenti nel finale riprenderà a svolgere un ruolo di conciliazione e pacificazione, rappresenterà un dato di speranza nel futuro.
Le riprese sono semplici, i flash-back sono anch’essi un mezzo usato senza inutili ricercatezze per le transizioni dal passato al presente, e per le evocazioni della memoria, i ricordi incancellabili. Il paesaggio un po’ tetro, caratterizzato da specchi d’acqua, porticcioli e imbarcazioni solitarie, accompagna il racconto, inframezzandolo di cartoline.
Casey Affleck è Lee Chandler, il protagonista. La sua recitazione è superlativa, senza sbavature nella mediazione e la coesistenza di vari elementi: carattere da orso e accessi di rabbia, macerazione interiore inestirpabile, insospettata vitalità trovata nelle piccole cose del quotidiano e capacità di donare affetto. L’Oscar come miglior attore protagonista ha avuto finalmente una corretta destinazione, così come eccellente è anche la sceneggiatura originale di Lonergan, pur essa premiata con la statuetta.