“Personal Shopper” (O. Assayas, Fra 2016)
Parigino, nato nel 1955 da una famiglia franco-turca-ebraica, come tiene a sottolineare egli stesso Olivier Assayas ha vissuto la passione per il cinema e il desiderio di farne un mestiere per eredità familiare, tramite il padre sceneggiatore e collaboratore di maestri come Ophuls e Pabst. Critico (dal 1980 al 1985 ai Cahiers du Cinéma), giornalista musicale. Assayas non ha prodotto però grandi lavori: il suo film più noto (?) è Irma Vep del 1996.
Con questo Personal Shopper il suo eclettismo dà vita a un film mal definibile, con stilemi horror o thriller ma molto sui generis. L’elemento del paranormale è infatti utilizzato al ribasso, senza banalizzarlo, ma in fin dei conti senza neppure farne un fattore di tensione e eventualmente di paura per lo spettatore. Il quale spettatore è bene vada in sala dopo aver preso un caffè doppio e possibilmente non a seguito di una giornata di lavoro perché rischierebbe di addormentarsi. La sinossi è piuttosto semplice: c’è un patto tra due fratelli gemelli, maschio e femmina: chi dei due per primo morirà giura all’altro che darà consistenti segni della sua presenza dall’aldilà. Il rapporto tra visibile e invisibile, il doppio, il mistero della morte sono al centro di una trama piuttosto indecifrabile. Si dirà: cosa ne è del titolo? Ebbene esso si spiega con un altro filo rosso, ossia il rapporto un po’ ambiguo e curioso tra due donne, l’una una specie di diva perennemente in viaggio e l’altra (Maureen, la giovane gemella sopravvissuta: Kristen Stewart assoluta dominatrice della scena), non solo dunque in costante attesa di comunicare con l’anima del fratello in una casa necessariamente un po’ spettrale ma anche personal shopper alla quale sono affidate le commissioni e le compere di lusso della prima. Maureen lo fa in modo anche morboso, attirata dai vestiti alla moda (in effetti un modo per recuperare una identità femminile poco evidente) che la sua attività e la distanza dalla sua datrice di lavoro le consentono di indossare compiaciuta.
Il premio come migliore regia a Cannes 2016 sembra poco comprensibile anche se non si negheranno alle tecniche di ripresa aspetti di originalità soprattutto per la loro irritualità stilistica rispetto al genere horror-thriller al quale si può e si deve comunque ricondurre l’opera.