IL 74° LEONE D’ORO A “THE SHAPE OF WATER” DI GUILLERMO DEL TORO
Si è chiusa al Lido di Venezia la 74° edizione del Festival del Cinema, iniziata il 30 agosto. La Giuria del Concorso, presieduta da Annette Bening (interprete principale in American Beauty di Sam Mendes, 1999) ha premiato un film fantasy ambientato durante la guerra fredda. Esso ci parla con linguaggio metaforico di amore, solidarietà, discriminazione, straordinario. E’ la storia di Elisa, una giovane priva della parola che fa le pulizie in un laboratorio spaziale e del suo amore impossibile e osteggiato per un essere anfibio piuttosto mostruoso ma dotato di sentimenti e intelligenza. Ci si immaginano richiami a personaggi e opere celebri come il Quasimodo del Gobbo di Notre Dame, o ancora più La bella e la bestia, o King Kong ma si potrebbe anche risalire molto più all’indietro, nel pianeta formidabile del mondo classico greco-romano, per esempi di contrasto apparente tra umano e inumano, tra l’esteriorità ripugnante e la spiritualità più profonda, per le trasformazioni teriomorfe. Creature e aspetti naturali prodigiosi e ripugnanti, mostri, insetti sono tipici dell’ora premiato regista messicano G. Del Toro (“Io ho una sorta di feticismo per gli insetti, i meccanismi ad orologeria, i mostri, i luoghi oscuri… “: per un succinto richiamo alla sua biografia intellettuale si veda N. Dose in http://www.mymovies.it/biografia/?r=3344), che con tali e analoghi elementi ha costruito la sua estetica, senza per questo trascurare contesti storici e ambientazioni realistiche. Suo primo lungometraggio: Cronos del 1993.
Ci riserviamo un’analisi del film, naturalmente, quando uscirà nelle sale. Se non accadrà, come altre volte in passato, che addirittura pellicole trionfanti in festival di questo livello vi facciano – nelle sale appunto – una sparutissima o nessuna apparizione: in quanti hanno visto The woman who left di Lav Diaz, che vinse il Leone d’Oro l’anno scorso?
Ecco gli altri riconoscimenti maggiori:
Gran premio della giuria: Foxtrot di Samuel Maoz; Leone d’argento per la miglior regia: Xavier Legrand per Jusqu’à la gard; Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile: Charlotte Rampling per Hannah;
Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile: Kamel El Basha per L’insulte; Miglior sceneggiatura: Martin McDonagh per Tre manifesti a Ebbing, Missouri; Premio speciale della giuria: Sweet Country di Warwick Thornthon; Miglior film della sezione Orizzonti: Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli; Premio Leone del futuro per la miglior opera prima: Jusqu’à la garde di Xavier Legrand.
Il Leone d’Oro alla Carriera è stato assegnato a Robert Redford e Jane Fonda.
Tra i film italiani in concorso si segnala The Leisure Seeker girato da Paolo Virzì negli Stati Uniti, con tra gli altri il vecchio grandissimo Donald Sutherland.
Tante sarebbero le notazioni ulteriori che occorrerebbe fare. Ci limiteremo a due opere, che entrambe riportano alla situazione del mondo attuale. C’è lo sguardo ampio, la prospettiva universale di Ai Weiwei, il poliedrico artista multimediale e anche regista con il suo The Human Flow, che ha ricevuto giudizi critici contrastanti: spaziando da un punto all’altro del globo ha descritto le grandi migrazioni articolandone la molteplicità delle cause (dai cambiamenti climatici, alle differenze sociali, alle guerre), i rimedi o i presunti rimedi. Troppo ambizioso, per alcuni, e nonostante le immagine suggestive e toccanti, forse “poco cinema”. L’Italia e la Sicilia, che hanno una parte irrilevante nel film dell’artista cinese, sono invece al centro dell’ultimo di Andrea Segre, il documentarista che ha fatto (anche nei film di finzione da lui girati sinora Io sono Li e La prima neve) dell’impegno civile sulla questione dei movimenti migratori, delle loro implicazioni e impatto sociale, e del governo del fenomeno da parte delle autorità politiche, la sua cifra caratteristica. Ne L’ordine delle cose torna il problema della direttrice Italia-Libia che è per il nostro paese il vero nervo scoperto. Il film va in visione in felice e problematica coincidenza con l’apprezzato tentativo del governo italiano di frenare il fenomeno rintuzzandone i sintomi, ossia comprimendo con accordi non del tutto trasparenti con i poteri presenti in Libia la pressione dei migranti: apprezzato vedremo per quanto e non da chi scrive, dunque. Ma dopo Io sono Li (e in certa misura anche ne La prima neve), nel quale Segre riusciva a coniugare lirismo e denuncia, il regista veneto sembra sempre più vocato a trasformare la sua arte in saggio, e ciò comincia ad appannare e rendere un po’ ripetitive le sue indubbie qualità di cineasta.