“Il mio Godard” (M. Hazanavicius, FRA 2017)
Il titolo originale, Le redoutable (per il quale azzarderemmo come traduzione “l’inaffidabile”, qualcuno che mette in difficoltà chi gli sta vicino), rende bene l’idea di questo godibile e ironico film di Hazanavicius, regista diventato celebre per il più ricercato e ambizioso The Artist, che fu Oscar 2012. E’ un omaggio sui generis a uno dei più importanti critici e autori della storia del cinema francese, autore impegnato, di estrema sinistra, che ha lasciato dagli anni Cinquanta in poi opere importanti per quanto un po’ discontinuo nella sua produzione tra il classico e lo sperimentale e talora provocatorio all’eccesso. Godard è certamente poco noto oggi al pubblico delle nuove generazioni e anche in Francia è ricordato, come ci dice in modo divertito il film che commentiamo, soprattutto per i suoi lavori più “narrativi” (Fino all’ultimo respiro del 1959; Il disprezzo del 1963), nonché per aver contribuito alla notorietà di attori di culto come Belmondo. Qui si prende in esame il Godard dei tardi anni Sessanta, e per la precisione quello del 1967-1968, quello delle sue fasi di maggior impegno politico, con un interscambio costante tra la rappresentazione del personaggio nelle sue contraddizioni e originalità e l’icona del maggio 68 che arrivava, attivo partecipante ad assemblee studentesche, nelle quali veniva sistematicamente contestato perché inadeguatamente… rivoluzionario. Un an après di Anne Wiazemsky è la biografia da cui trae libera ispirazione il film, che si focalizza (parlandoci anche di molto altro) sul rapporto sentimentale poi sfociato in matrimonio tra il regista e la stessa Anne, lui trentasettenne, lei di molto più giovane. Centrale nel racconto è il momento dell’uscita de La chinoise con le critiche che la accolsero, critiche che disturbano, anzi mandano in profonda crisi di identità, Godard avendo ricadute negative anche sul rapporto con la moglie.
Spassose alcune parodie di aule universitarie in subbuglio, o le scene di Godard che non perde occasione (soprattutto nel corso delle manifestazioni di piazza cui partecipa) per fracassare goffamente gli indispensabili, vetrosi e scuri, occhiali da miope. Louis Garrel è bravissimo, accattivante, calato a meraviglia nel ruolo (ça va sans dire: del Godard rivisto da Hazanavicius). Più scialba e inteccherita la pur graziosa Stacy Martin nel ruolo della compagna di Godard. Espressiva, fascinosa e bella senza riserve Berenice Béjo (già in The Artist e in Fai bei sogni di Bellocchio) nella parte di Michèle Rozier, amica della coppia.
Non sappiamo come sia nata l’idea del film, né se l’anziano Godard ne sia stato preavvertito. Esso è stato fischiato a Cannes. Noi lo avremmo applaudito. Non è certo un capolavoro. Ma è leggiadro, dissacratorio senza essere irrispettoso verso quello che rimane un grande maestro. Ripetiamo: un omaggio, nonostante tutto.
VALUTAZIONE 4.0/6.0