27 Dicembre 2024
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(VINTAGE) «Siamo in un mondo senza speranza, ma pieno di persone che sperano»: Mommy (X. Dolan, Canada 2014)

Un film appassionato e forte come si può essere appassionati e forti a vent’anni. Venticinque ne ha Xavier Dolan, regista canadese che è già una realtà consolidata della cinematografia internazionale e che è al suo quinto lungometraggio (esordio a vent’anni con J’ai tué ma mère – “Ho ucciso mia madre”, 2009, altra opera dedicata a tematiche familiari). E in Canada è collocata la vicenda di “mommy”, Diane (una volutamente vistosa Anne Dorval) e di suo figlio Steve (Antoine-Olivier Pilon). Il ragazzo ha dei seri problemi di disadattamento, iperattivo, vittima di deficit di attenzione, ed è uscito da una casa di cura. Si installa a casa. Il padre è morto anni prima e questo fatto è una delle cause – il regista non ha dubbi – della malattia del giovane. Il rapporto tra Diane e Steve è duro, violento, ma naturalmente pieno di amore. La colonna sonora, a tratti assordante e fastidiosa, emerge progressivamente come una componente essenziale del film, trattandosi della musica ascoltata e forse dello stordimento provato dal ragazzo. Dolan costruisce una serie di scene piene di tensione, giacché ogni volta ci si può attendere che il ragazzo si lasci andare a gesti e azioni violente, verbalmente o materialmente. Nell’appartamento di fronte a quello di madre e figlio è venuta a vivere una famiglia, devastata dalla perdita del figlio maschio: un fatto che non viene mai menzionato ma che è reso evidente da una fotografia. Tale fatto spiega come la apparentemente strana e in realtà solo sofferente Kyla (una graziosa e molto brava Suzanne Clément), balbuziente e in attesa di riprendere il lavoro di insegnante, stringa un legame sempre più forte (che a tratti rasenta la morbidità) con il ragazzo, e anche di amicizia e collaborazione con sua madre. Si instaura un equilibrio tra i tre, sembra poter essere quello giusto, ma non sarà definitivo. Tutto verte sul se e come Diane riesca a tirare avanti e sul se e come potrà recuperare una stabilità materiale e psicologica, per sé e soprattutto per Steve. Il finale, sapientemente celato, giunge inatteso. E non è un lieto fine. Un finale solo parzialmente coerente con la frase posta nella intitolazione di questa scheda, e che è stata pronunciata da Xavier Dolan in un’intervista rilasciata durante la presentazione del film in Italia. Infine una notazione tecnica: Dolan usa un formato di schermo ridotto 1:1. All’inizio del film lo spettatore può persino pensare che ci sia un qualche problema nella proiezione in sala. Si tratta di una scelta ben precisa così chiarita da Dolan: «… per me è semplicemente il formato classico del ritratto fotografico, di quando Kodak ha messo sul mercato Brownie… per me è il formato perfetto, così lo spettatore non ha distrazioni a destra o a sinistra e si concentra sui personaggi».

26/12/2014

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.