19 Dicembre 2024
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VINTAGE: Rischio scampato di fumettone: “Suite francese” (S. Dibb, GB 2014)

Suite francese è l’ultimo incompiuto romanzo, pubblicato (in Italia da Adelphi) oltre sessant’anni dopo la sua morte ad Auschwitz nel 1942, della scrittrice ucraina di origine ebraica Irène Némirowski. Da questo ormai famosissimo e tradottissimo romanzo è tratto questo film piuttosto ben riuscito, ambientato nei dintorni di Parigi (ma girato prevalentemente in Belgio), nella cittadina di Bussy, nel giugno del 1940, quando i nazisti prendono il potere. I bombardamenti seminano il panico, la gente comincia un grande esodo verso il sud della Francia. La ricostruzione storica si salda con efficacia con la parabola affettiva di Lucille (Michelle Williams) sposata con il figlio, ora al fronte, di madame Angellier, proprietaria terriera del luogo. Lucille è succube della suocera e i comportamenti egoistici di quest’ultima, che suscitano animosità presso i concittadini, si riverberano negativamente anche su di lei. L’arrivo dei tedeschi che occupano la cittadina di Bussy e vengono acquartierati nelle abitazioni dei locali, sconvolge gli assetti stabiliti, modifica dinamiche interpersonali, acuendo, o viceversa livellando l’asimmetria delle relazioni sociali. La “suite francese” è la musica composta da Bruno von Falk (Matthias Schoenaerts), tenente tedesco che è andato ad abitare nella magione delle donne. La sua composizione rende meno solitarie le serate di Lucille, anch’ella amante del pianoforte, che sente il giovane suonare, dalla stanza di sopra, lo strumento che è il suo. Tra la giovane e l’occupante si crea un’intesa e poi un sentimento rappresentati peraltro con una certa sensibilità, senza cadute di stile o banalizzazioni melassose. Forse i due si incontrano troppo rapidamente, sebbene tale rapidità sia giustificata dal fatto che Lucille non ama suo marito, il suo essendo stato un matrimonio combinato. La storia d’amore (“un’illusione”, come ha a dire la protagonista) si scontrerà peraltro con la storia tout court e con scelte personali di altro genere, costrette dalla tragedia del tempo.

Il film è ben girato: ci sono scene di guerra di notevole effetto, che evitano un inutile pulp, e indugiano piuttosto sul dolore delle vittime e le solidarietà che si attivano. La fotografia è quella tipica dei film inglesi, realistica, senza colori pastello o effetti speciali. Anche la dinamica dell’hospitalitas, ossia delle installazioni dei tedeschi nelle case dei maggiorenti locali e in quelle dei loro mezzadri è descritta con equilibrio, così come i caratteri dei personaggi principali. Il ritratto dei reparti tedeschi è pulito: salvo un caso la malvagità dei loro comportamenti non è mai esasperata. Analogamente è sfumata la rappresentazione di Bruno, figura tragica, in quanto preda di un conflitto insanabile tra un senso del dovere pur costellato da dubbi profondi, un sentimento forte e corrisposto ma di troppo difficile realizzazione, la percezione di un destino infausto. Neppure scontata è la mutazione della suocera di Lucille (una eccellente Kristin Scott Thomas) che da algida, avida e incattivita padrona (ancorché sin dall’inizio caratterizzata da forti sentimenti antitedeschi) diventa una fiancheggiatrice delle prime embrionali forme di resistenza mettendo a rischio la propria incolumità e i propri privilegi.

(15/03/2015)

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.