Michele Cocchi, La casa dei bambini, Fandango 2017, pag. 261, € 15,00
È scandito in tre tempi questo nuovo romanzo di Michele Cocchi. Tre capitoli ognuno dedicato al primo piano di alcuni dei personaggi principali: Sandro, Nuto e Dino, inizialmente bambini e amici inseparabili nell’affollato orfanotrofio in cui è ambientata la prima parte.
Ai loro destini, e quelli dei loro due maggiori amici nella “Casa dei bambini”, Viola e Giuliano, si incardina la narrazione dell’intero romanzo. La vita nella Casa delinea i primi tratti delle loro personalità, strette tra la difficile memoria di un prima oscuro (sembra dai vaghi ricordi che tutti siano orfani o abbandonati in seguito a terribili eventi legati a una storia di guerra) e l’immaginazione di un “dopo” impossibile da prevedere, oltre che di un “fuori” nascosto a tutti i costi dagli operatori dell’istituto e di cui si avverte soltanto un clima violento e minaccioso. La seconda parte è ambientata in un luogo non definito e in un non identificato tempo di una guerra civile tra un partito che detiene il potere e i ribelli, che conducono nei boschi fuori dalla città una resistenza simile a quella della storia italiana e a molte altre. Anche in questa fase i destini dei bambini provenienti dalla casa si incrociano tra loro e si incrociano con le vicende della guerra, disegnando parabole molto diverse. Nella terza e ultima parte la guerra civile è ormai conclusa e il partito dei ribelli ha preso il potere, erigendo un sistema di controllo sociale ai limiti della distopia. Tirando le fila delle vicende di tutti gli “amici di lacrime”, Dino dovrà tornare alla casa per chiudere un cerchio e restituire un senso alla storia di ognuno di loro.
“La casa dei bambini” è un romanzo la cui trama è veramente difficile da riassumere, complessa assai più delle precedenti narrazioni di Cocchi. Meno intensa rispetto al passato è la concentrazione sulla lingua e maggiore l’impegno sulla strutturazione dell’intreccio. Più spazio inoltre è concesso alla dimensione introspettiva dei personaggi, rispetto alla narrazione rigorosamente oggettiva che era il marchio di fabbrica delle prime prove. Cocchi prosegue comunque un itinerario di sostanziale fedeltà ai suoi temi di sempre: l’infanzia come stagione determinante per lo sviluppo della personalità di un uomo, il rapporto tra padri e figli, l’antinomia tra l’autorità e l’istinto alla ribellione, la passione per il bosco e tutto ciò che riguarda la vita montana. La dimensione storica e politica che si aggiunge ai suoi temi precedenti, sotto forma di ambientazione bellica e attraverso l’amara riflessione sulle incarnazioni del potere, ben lontano da quanto di esplicitamente politico alcuni critici ci hanno voluto leggere, appare essa stessa in definitiva come una interrogazione sui reciproci istinti alla prevaricazione e alla ribellione e si iscrive dunque nell’insieme della osservazione di Cocchi su quanto di più radicato e immutabile esista nella natura umana. Di fatto, forse, l’indagine più necessaria a cui possa dedicarsi uno scrittore, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo.