Un bel western dei nostri tempi: “Hostiles-Ostili” (S. Cooper, USA 2017)
L’ interculturalità nel quadro del conflitto tra americani e nativi, la giustificazione della violenza individuale, la sofferenza e la vita che continua, il perdono e la solidarietà tra nemici e tra donne di cultura diversa: sono tutti aspetti che affiorano in questo film volutamente duro. Si tratta di un lungo viaggio dal Nuovo Messico al Montana con il quale lo stesso spettatore segue e vive da dentro il nostos, il ritorno di Yellow Hawk (Falco Giallo, Wes Studi), un capo cheyenne malato terminale accompagnato dai più stretti congiunti, verso le sue terre di origine. Lì egli vuole finire la sua esistenza; per rispetto verso la sua autorità o per altri motivi che non vengono rivelati, è scortato a questo scopo per ordine del Presidente da un eroe di guerra, Joseph Blocker (Christian Bale, bravissimo) insieme a un gruppo di suoi compagni d’armi e soldati reclutati per la circostanza. Blocker è all’ultima missione, è stato nemico giurato dei Cheyenne, molti suoi uomini e amici sono stati uccisi da loro. La rivalità con Yellow Hawk crea tensione, ma una tensione che si stempera e si risolve in positivo, anche perché l’aiuto del vecchio pellerossa è indispensabile perché la piccola carovana riesca a arrivare in porto sana e salva. Siamo nel 1892. La prima scena è terribile: un ranch isolato preso d’assalto da un gruppo di Comanche che massacrano un’intera famiglia per impadronirsi dei cavalli. Si salva la giovane madre e moglie, Rosalie (Rosamund Pike, un po’ rigida e stereotipa), che nello smarrimento e nella disperazione si unisce alla composita comitiva che frattanto ha scoperto l’accaduto. Il viaggio avviene in condizione drammatiche. Al raggiungimento della mèta seguiranno separazioni tristi.
Scott Cooper, il regista, aveva già girato una sorta di western di tutt’altra ambientazione, con Il fuoco della vendetta (Out of the furnace, 2013), già con Christian Bale. Questo è un film di qualità, se non lo si analizza con troppe fisime: c’è certo allo stesso tempo la ricerca di manifestare atteggiamenti di rispetto verso gli indiani, ma questi sono anche rappresentati in molti casi, e non solo nella prima già evocata sequenza, come violenti e selvaggi. La ricerca di allontanarsi dal genere western tradizionale riesce solo in parte. Alcune sequenze sono forse improbabili, altre scivolano nel pulp gratuito. La stessa didascalia di apertura tratta da D.H. Lawrence è forse mal tradotta e comunque non è del tutto coerente con i contenuti della pellicola: “”L’anima americana è essenzialmente isolata, stoica e assassina”. Ma se ci si lascia prendere dalla storia, il coinvolgimento è garantito. E non è poco.