Lo spettro dell’opera
«Il Manifesto del Partito Comunista» (1848) di Karl Marx e Friedrich Engels inizia parlando di un certo “spettro”. Tra l’altro quello “spettro” è lo stesso identico “spettro” che Jacques Derrida porterà in scena nel suo testo Spettri di Marx (1994). Ma cos’è questo “spettro”? In quale opera appare? Qual è il “fantasma” che Patrick Swayze non ha interpretato? “Ghost”, “Ghostbuster”, quello della barzelletta “il fantasma formaggino”… Costui ci respinge o ci attrae?
Diego Fusaro scrive il suo Bentornato Marx. Rinascita di un pensiero rivoluzionario (Bompiani, Milano, 2018) nel novembre del 2009. E con questo volume “il filosofo bello” si propone di rispondere alle domande che seguono. Chi è Marx? Cosa c’entra Marx con gli spettri? Quale Marx, alla fine, ci è più vicino? Fusaro scrive che Marx «resta il più straordinario critico della società capitalistica». Ma Diego Fusaro non mette in discussione la filosofia di Marx nella sua interezza (da analista politico), no. Diego, invece, fa scendere in campo il proprio punto di vista. Ma questa presa di posizione teorica, ancora una volta, non è effettuata per far capire qual era il mondo nel quale Marx era vissuto, no! È invece effettuata per capire il mondo nel quale Fusaro si trova a vivere nel 2009 (o nel 2018).
Il giudizio di Fusaro su Marx è lapidario. Egli fu «Il più glaciale sismografo critico della società capitalistica e, insieme, il più portentoso architetto di un’ingegneria utopica fondata sull’ideale di un’ulteriorità nobilitante e di una felicità più grande di quella disponibile – e il caso di dirlo – a buon mercato». Ma questi dannatissimi spettri? Si aggirano ancora per l’Europa? Questi fantasmi (Eduardo) sono quelli di un Marx «filosofo e non economista». Rispetto agli studi della tradizione marxiana (i cosiddetti “Sacri Testi”) e della tradizione marxista esiste un gap enorme.
Lo “spettro” di un filosofo – a questo punto: di un filosofo – fatto proprio dall’economia politica che si aggira per l’Europa non più in veste di teorico della struttura e della sovrastruttura, piuttosto in quella del materialista storico… Fusaro si fa guidare da due figure in questa sua ricerca, peraltro corretta e tecnicamente ineccepibile. Queste due figure sono note e sono: «la coscienza infelice» e «la lotta per il riconoscimento delle autocoscienze». Nel 2008 però un crack è avvenuto: negli U.S.A. i cosiddetti bond subprime hanno provocato la grande crisi economica mondiale. E una crisi di tale portata non poteva certo passare inosservata agli occhi del giovane Diego Fusaro che con un gesto retrospettivo – in sede di prefazione – rapporta quella grande crisi alla situazione del 2018. E ci restituisce alla fine un Marx al quale Diego dice “Bentornato”, anche se non si sa bene tornato a fare cosa, in questo contesto, con questi spifferi di vento, con quest’aria salmastra e arsa. Ma Fusaro nel corso del libro ce lo dirà!
“La lotta di classe 2.0” oggi prevede un capitale (secondo fattore della produzione) che si è finanziarizzato. Esiste anche una nuova classe sociale: non più i borghesi, ma una certa “aristocrazia finanziaria”. Il lavoro anche è cambiato: non è più esso il fulcro della produzione, è stato sostituito dalla “rendita”. La seconda classe sociale della nuova lotta di classe (contro i nuovi borghesi) sono dei “post-proletari” e il nuovo capitalismo è “flessibile-finanziario”. E siamo al 2018. La rendita è semplicemente l’acquisto di un bene che, se ceduto a terzi, genera un guadagno. La strategia di mercato della classe finanziaria si fonda su quattro generi di attività: 1) il credito (prestito di denaro a chi ne ha bisogno); 2) la rendita; 3) la speculazione (la vendita e l’acquisto orientato al guadagno mediante la variazione dei prezzi); 4) la scommessa (i contratti derivati, cioè un azzardo).
Insomma, conclude Fusaro: “del lavoro come attività pratica non v’è più traccia”. Ovvero, se ancora esso esiste esso esiste nella forma di “lavoro super-sfruttato e sottopagato”: vedi il caso milanese di Expo 2015. Ma Marx qualche piccola cosettina l’aveva detta sul capitale finanziario. Infatti il filosofo di Treviri non era certamente l’ultimo dei fessi e, messa la cosa su questo piano: neanche il penultimo. Intanto in queste condizioni particolari si sbriciola la classe media e se ne va a puttane il mondo imprenditoriale. In realtà borghesi e proletari, nella “Lotta di classe 2.0”, esistono ancora ma hanno cambiato natura: non esiste più il mondo descritto da Marx come adatto e idoneo alla vecchia lotta di classe. Qualcosa è cambiato come diceva Jack Nicholson. Si! Intanto non esiste più il motore della lotta di classe: se è vero che c’è la presenza delle due classi solo perché c’è la lotta e se è vero che le due classi esistono ancora oggi quella che viene meno è la lotta, il motore. Oggi viviamo sotto un apolide élite liberal-libertaria, in un mondo pacificato, omogeneo, sicuro e, come diceva Marcuse, ben «levigato». Oggi si usa dire: politicamente corretto. Ma concretamente che cos’è successo? Perché è finita la lotta? Perché ci siamo ridotti a mangiare panini da McDonald’s? Oggi si è prodotta la scissione (attraverso il “Capitale”) fra mondo dei proprietari e mondo dei produttori. Il capitale non è più classicamente una proprietà privata dei singoli produttori ma è finanziario (effimero, aleatorio, frattale, caotico, morbido). La proprietà oggi se ne va da una parte: nel territorio biopolitico e la produzione se ne va in Cina. Che, però, non può esportare alluminio e acciaio. Ne nasce l’annullamento dell’industria privata capitalistica e della classe media ma non delle due figure della lotta di classe. Allora se ne può concludere qualcosa: la lotta in qualche modo è rimasta. Non è più quella classica ma comunque ci sono borghesi e proletari (anche se di tipo nuovo) e ci sono le due figure hegeliane con le quali interpretare il capitalismo. Se c’è tutto questo (sia pure in forma nuova e straordinariamente inedita) allora c’è qualcosa come un sistema economico da qualche parte nel pianeta. Chiamiamolo pure capitalismo. Chiamiamolo pure Modello Toyota. Chiamiamolo pure motore della storia economica, civile e morale del Pianeta. Chiamiamolo per brevità: capitalismo.
Gli spettri sono presenti oggi? De Andrè diceva: «L’inferno esiste solo per chi ne ha paura». Esiste ancora oggi la presenza spettrale di Marx? A Fusaro questo preme e su questo scrive. E su questo riflette da filosofo, da uomo e da cittadino. Il suo impegno è prima di tutto morale e secondariamente economico-politico ma alla fine salva solo il Marx filosofo. Evidentemente questi non sono più tempi di analisi raffinate sul capitalismo, ma di buffe speculazioni di buffi uomini che come Talete cadono nei pozzi e per giunta senza Moana…
Niente «spettri» ma tanta «spettralità». Benvenuti nel mondo 2.0, 4.0, 1000.0: il mondo delle influenze virali e dei youtuber incazzati. Benvenuti nella felicità al quadrato! Mica stiamo parlando di bruscolini e nemmeno di Berlusconi! Ma chiaramente oggi gli strumenti del dominio sono cambiati. La nuova classe borghese (la élite neofeudale) utilizza le Banche. Lo strumento è il debito. E lo Stato (che comunque ancora c’è) si limita a una funzione di assistenza e talvolta di salvataggio a beneficio delle Banche. E poi, al limite, impone nuove tassazioni ai nuovi proletari.
Ma Diego non è un’idealista. E comincia e finisce il suo libro nello stesso tempo e nello stesso modo. In fondo egli è un realista. Lui dice: «Io non vendo sogni, ma solide realtà». Parola di Roberto Carlino. Roberto carlino dice «Bentornato Marx» e Derrida gli risponde: «Ma non era solo uno spettro?». Infatti Derrida, citato in esergo al primo capitolo da Fusaro, ci avvisa: «Un fantasma non muore mai, ma resta sempre a venire e a rivenire». Oggi, a globalizzazione conclamata, lo “spettro” non è più il comunismo ma è lo stesso Marx. Un fantasma a rivenire. A rinvenire. E a venire durante un amplesso col Potere che è come dire, col vecchio caro stigma borghese della lotta contro il Padrone. Da più parti oggi è stata annunciata la morte di Marx. Le sue previsioni sono fallite – è stato detto da alcuni. Anche il destino dell’URSS è stato infausto – dicono altri. In fondo tutto è finito in una dittatura – dicono i più. Insomma si dicono tante cose, forse nessuna! Fusaro conclude il senso di queste critiche dicendo: «un fallimento su tutta la linea». Ma Derrida, come un anatomo-patologo, non si limita ad acclarare che Marx è morto: egli è furbo ed è astuto: lo “spettro” di Marx è ancora vivo e vegeto. Vivo e scomodo. A questo punto si innesta la domanda di Diego Fusaro: «Quali siano gli spettri di Marx che continuano ad aggirarsi tra noi anche oggi che il socialismo reale affondato e che nessuno sembra più interessarsi al pensiero marxiano». Amleto (che in fondo era uno “spettro” egli stesso) affermava «c’è del marcio» nella Realtà. Ma in Danimarca, e non solo in Danimarca, non c’è solo del marcio, c’è pure del marciume. Spettri su spettri, fantasmi di welfare-state, fantasmi di lotte di classe senza più lotte, lavori precari: l’avete voluta questa globalizzazione e ora andate tutti da Kilo a comprare Rimmell e rossetti e andate pure tutti da Ikea a prendere tavolini e sedie. C’è del marcio nel marciume del mercato globale e delle vite di scarto e della modernità liquida!
Cosa è vivo e cosa è morto della filosofia di Marx? Cos’è morto del suo “spettro”? Chi ha il diritto di ereditare gli spettri di Marx? A URSS caduta: chi è che è morto? È morto Marx o è morto il comunismo? È vivo lo “spettro” o è morto “il calzino dello spettro”: i cosiddetti fantasmini?
Fusaro ha fatto il pieno di domande e i suoi piedi sono pieni di fantasmini. Può concludere subito: «Di qui la grande sfida che Marx è in grado di lanciare ancora oggi, contro ogni stanza adattiva e conservatrice: il presente, per quanto opaco e immutabile possa apparire, non è eterno, ma è destinato a tramontare non diversamente dalle epoche storiche che l’hanno preceduto». La globalizzazione è solo un’epoca storica come tante. Il mercato, il capitalismo, il liberismo non sono eterni. Lo “spettro” di Marx è venuto da noi e ci sta dicendo: capiterà qualcosa, ci sarà quello che Paul Virilio chiamava “L’incidente del futuro”.