Debito pubblico IT: struttura e possesso
Vediamo, prima di tutto, i dati. Fortunatamente, ancora oggi, il 75% dei titoli del debito pubblico italiano è costituito da bonds a lungo termine. Il periodo di scadenza medio è anch’esso alto, più della media europea, con 6,7 anni di mantenimento o rinnovo delle varie tranches del nostro debito in mano ai privati. E anni fa era addirittura meglio, con una maturity di oltre sette anni. Alcune banche e assicurazioni detengono, ormai in un ciclo più che decennale, il 70% dei titoli del nostro debito ancora in circolazione. Ma ne parleremo in seguito.
Quelli della Banca dei Regolamenti Internazionali, nata per organizzare il debito tedesco in crisi dopo il primo conflitto mondiale (“regolamenti” qui vuol dire pagamenti interbancari tra istituti di emissione) stimano, in un recente lavoro sull’Italia (che è da sempre membro del board della Banca di Basilea), che il nostro debito pubblico valga il 20% del totale dei depositi bancari, uno dei più alti livelli di tesaurizzazione al mondo del debito pubblico. Certo, ci sono i giapponesi, che nel 2017 sono arrivati a un totale del loro debito pubblico pari a 51mila miliardi di Euro, con un rapporto debito-Pil del 240%. Ma il governo, laggiù, detiene ben il 140% del totale dei titoli, quindi siamo a livelli, di fatto, italiani. Con un livello di efficienza del sistema pubblico decisamente migliore. Ma i titoli di debito di Tokyo sono detenuti solo al 5% da clienti stranieri, mentre noi purtroppo siamo già al 35%. Solo con il mantenimento “interno” dei titoli di debito il Giappone è uscito dalla depressione decennale che lo aveva colpito. E non c’è un’altra ricetta, solo la spinta dell’investimento pubblico funziona, quando i privati non ci sono o non hanno intenzione di investire alcunché. Oppure è da seguire il consiglio di Vladimir Vladimirovic Putin, che se la gioca con un debito pubblico del 17,4% sul PIL, il che gli permette di non avere padroni “alieni” in casa. Ma il vecchio colonnello del KGB ha anche fatto aumentare le riserve auree russe del 500% dal 2000.
Invece noi italiani-europei, rincretiniti dalle teorie monetariste, disprezziamo l’oro, che pure la Banca d’Italia detiene in grandi quantità. Anche questo sarà un punto debole, al momento buono. Per le banche italiane c’è, però, un ulteriore problema con i loro titoli del debito pubblico nazionale: dieci tra di esse hanno una quota di titoli del Tesoro che va addirittura oltre il 100% del loro capitale Tier-1. Il Tier-1, lo ricordiamo, è il capitale primario delle banche ed è composto dalle azioni e dalle riserve di bilancio.
È poi probabile che i tedeschi, che stanno finendo la loro “campagna d’Italia” con la finanza, dopo averla persa con Kesserling, dichiareranno tra poco che l’interscambio con le nostre banche non è ben garantito, grazie alla debolezza (apparente) dei nostri Tier-1. E quindi i tedeschi richiederanno, per fare interscambio finanziario con noi, dei “collaterali”, per esempio dei contratti derivati. Se così fosse sarebbe la fine.
Tuttavia l’Italia, con il suo debito che gli ipocriti partner europei descrivono come “ingestibile”, potrebbe introdurre delle forti agevolazioni fiscali per le banche che prescrivono debiti di scarsa esigibilità, una misura che libererebbe rebus sic stantibus una buona fetta di capitali verso le famiglie e le imprese.
Ma vediamo chi è che detiene, analiticamente, i nostri titoli del debito pubblico.
Unicredit e IntesaSanPaolo hanno una esposizione del 145% sul loro Tier-1 di titoli di debito. Pericolosa debolezza rispetto a “bagni” futuri o a deprezzamenti del nostro debito sovrano.
Poi c’è BPM con un notevole 327% di esposizione sul suo Tier-1; poi ancora il Monte dei Paschi di Siena (206%) la BPER Banca con il 176% e infine Carige con il 151%. Se finisce, come presto accadrà, il Quantitative Easing della BCE, allora la riduzione di valore dei titoli potrebbe riflettersi sul capitale primario delle nostre banche, mettendole in ulteriore crisi e inducendo una ulteriore riduzione di valore dei nostri titoli del debito pubblico. Un circolo vizioso.
Ma tra i creditori dei nostri titoli ci sono anche i francesi, con 44 miliardi di italian bonds e anche le banche spagnole, con 29 miliardi. BNP Paribas è la più indebitata con titoli del nostro tesoro, tra tutte le banche francesi, con 16 miliardi di titoli ancora nel suo Tier-1.
Poi c’è Dexia, il gigante bancario-assicurativo franco-belga, fallito già due volte, il 2008 e il 2010, con altri 15 miliardi del nostro debito pubblico.
Poi lo spagnolo Banco Sabadell, con ancora grossi problemi in Gran Bretagna, tiene altri 26,3 miliardi di nostri titoli, il che vale il 110% del suo Tier-1.
Una situazione in cui un attacco ben organizzato al nostro debito pubblico potrebbe fare morti e feriti, ben oltre la valutazione oggettiva della qualità del nostro debito.
Poi, ci sono gli NPL, i non-performing loans, le sofferenze dei privati verso le nostre banche, che potrebbero essere ancor più distruttivi, se non smaltiti, di un declassamento di fatto del valore del nostro debito. In Italia, oggi, ci sono 500 miliardi di NPL, con un totale in UE di 2 trilioni di cattivi debiti dei clienti verso le banche dell’Eurozona.
Alternative? Forse una mutualizzazione del debito pubblico europeo, con la Banca Europea che emette titoli non-nazionalizzati a fronte di quelli di vari debiti pubblici della UE-Euro a 19. I tedeschi non lo accetteranno mai, ma potrebbero perfino ingoiare il rospo, aumentando l’interesse dei titoli unitari della UE e diminuendo la loro quantità, essendo titoli che sostituiranno una parte del debito dei Paesi meridionali dell’Unione. Mettendo così, di fatto in crisi le nostre imprese.