26 Dicembre 2024
Culture Club

Addio a Ceronetti

Intellettuale e scrittore certamente, studioso della Bibbia e traduttore di cinque Libri (Salmi, Qohèlet, Cantico dei Cantici, Libro di Giobbe e Libro di Isaia), amante dei classici, a cominciare da Orazio, Catullo, Marziale che ha tradotto, poeta, filosofo controvoglia, giornalista (collaboratore della Stampa dal 1972), drammaturgo e uomo di teatro, Guido Ceronetti è scomparso oggi nella sua casa di Cetona, malato ormai da molto tempo, piegato dai suoi 91 anni, ma non vinto.

Sino all’ultimo ha pubblicato libri su libri (“cerco di lavorare per non sentirmi un naufrago della vecchiaia”), autore quindi di varie decine di titoli, personaggio che sfugge a ogni classificazione con la sua fama di scrittore metafisico, antimoderno, nichilista, apocalittico, ambientalista e vegetariano ante litteram: tutte definizioni che contestava e trovava imprecise da nemico giurato dei luoghi comuni. Col suo umorismo caustico e quello sguardo sugli uomini e le cose, il loro degrado e la loro deperibilità, resta comunque un testimone alto della scrittura come operazione salvifica, pur naturalmente negandolo e affermando, con l’amato Celine e l’amico Cioran che “l’essere umano è il cancro della terra, perduto qualsiasi cosa faccia”. Del resto si riteneva un uomo del Novecento e ha scritto ‘Mistero e sopravvivenza del XX secolo’ contestando la definizione di “secolo breve, perché è stato l’opposto, lungo per la sua crudeltà, lunghissimo di misfatti” e prendendosela con tutti quelli che “volendo farla finita con la condizione umana, hanno pensato di migliorarla”.

Tra i suoi titoli più noti c’è un ‘Viaggio in Italia’ suggeritogli da Giulio Einaudi nei primissimi anni ’80, ristampato più volte con l’aggiunta di qualche nota, l’ultima quattro anni fa, in cui si leggevano queste parole, che col tempo stanno diventando sempre più vere: “Le società umane civilizzate, guardatele, non sono più che aggregazioni di follia tenute assieme dalla paura e dalle coercizioni”. Era un reportage a suo modo, guardandosi attorno, natura, città, monumenti e persone da Trieste a Palermo, per denunciarne il degrado: “Il campo di lotta tra Bene e Male è dappertutto, dove c’è un uomo capace di pensare: in Italia il loro contendere ha sempre coinvolto anche la bellezza, l’ha avuta come suprema moderatrice, oggi per vittima”. In fondo tutta la sua opera finisce per essere una sorta di denuncia, ora diretta, ora implicita, di un mondo e gli uomini che si autodistruggono uccidendo quella bellezza che è l’unico “aiuto alla pensabilità del mondo”.

Autore del Novecento comunque, molti dei suoi testi sono raccolte di articoli, pensieri, aforismi, annotazioni, riflessioni su tutto, da un fatto di cronaca a un uomo politico, da un’opera d’arte a un libro o uno scrittore. Gli autori più amati, con la Bibbia per leggere la quale aveva studiato l’ebraico, diceva fossero Sofocle, Dante, Shakespeare, Celine, ma poi poteva aggiungerne tanti altri da Dostoevskij a Tasso, i poeti latini o Kavafis.

Con la scrittura, l’altro suo grande amore era il teatro, ricordando Lois Jouvet per il quale “gli uomini, impotenti davanti all’enigmaticità dell’universo, hanno inventato il teatro”. Un amore che a un certo punto, dal 1970, lo ha portato a mettersi in gioco concretamente creando e dando vita a marionette del suo ‘Teatro dei Sensibili’ di cui era autore, regista, attore, coadiuvato dalla moglie Enrica Tedeschi e attirando, oltre agli spettatori comuni, via via personaggi che andavano da Bunuel a Fellini, da Montale alla Ginzburg. Quel Teatro è diventato pubblico e itinerante nel 1985: “Sono stato chiamato dalla strada, come suonatore d’organo di Barberia, a più di sessanta anni, e poi come artiste de la rue, con numeri d’invenzione, addirittura a settanta”, ha scritto con la sua autoironia a proposito di quegli anni da girovago con i suoi pupazzi e le marionette ‘ideofore’, ovvero che rappresentavano un’idea facendone un personaggio.

Col suo carattere, con quell’aria inerme ma affilata, incapace di tirarsi indietro si è spesso attirato critiche anche pesanti, come quella di razzista per certi suoi scritti sulla società meridionale e l’immigrazione, o come quando mostrò nel 1999 pietà per Priebke, condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, trovando però sempre anche validi difensori. I suoi testi, editi e inediti, sono conservati a Lugano dove all’Archivio Prezzolini è stato creato il Fondo Ceronetti, accettando che quelle amate carte andassero all’estero, visto il bisogno di soldi per sopravvivere pur con la sua parca vita (nel 2009 gli era sta per questo assegnata la pensione per italiani illustri della legge Bacchelli).

L’elenco delle sue pubblicazioni sarebbe lunghissimo, da ‘Difesa della luna’ del 1972 a ‘Regie immaginarie’ uscito quest’anno assieme alla sua traduzione delle ‘Odi’ di Orazio e non sarebbe giusto citarne alcune senza un preciso criterio. Ricordiamo solo l’antologia della sua opera, a cura di Manuela Muratori, intitolata ‘La fragilità del pensare’ (2000).

Il tempo rivelerà quelle che resteranno, e ce ne sono, quando non lo si ricorderà più per la sua stravaganza di osservatore implacabile sull’orlo del disastro.