Rosarno, Riace e l’inevitabile
La notte del 7 gennaio 2010 i migranti di Rosarno – comune di quasi 15000 abitanti della Piana di Gioia Tauro, parte della Città metropolitiana di Reggio Calabria – hanno portato a termine una rivolta che veramente è partita dal basso. Se è vero che la migrazione di massa, nella globalizzazione, costituisce l’inevitabile (a causa delle enormi diseguglianze tra chi ha e chi non ha gli abitanti dei cosidetti Paesi in Via di Sviluppo cercano nell’Occidente la possibilità di colmare la propria lacuna che non è solo economica ma che riguarda anche le possibilità di accesso alla conoscenza) è altresì vero che a Rosarno – causa del ferimento di un bracciante di colore da parte di alcuni balordi locali – questo inevitabile è diventato rabbia, risentimento, dolore. I braccianti agricoli, immigrati (perlopiù africani) che lavorano negl agrumeti della zona, erano stati fatti oggetto innumerevoli volte di aggressioni simili a quella del 10 gennaio del 2010. Triste e precaria è stata ed era la loro condizione. Quella notte gli immigrati sono scesi in strada e il giorno dopo ed il giorno successivo c’è stato un altrettanto triste corollario. Molti cittadini di Rosarn indignati da quello che era successo il giorno prima hanno cominciato a dare la caccia agli immigrati. Molti immigrati a causa di questa risposta dei cittadini se ne sono definitivamente andati da Rosarno. L’anno dopo (2011) gli immigrati arrivati per la raccolta delle arance sono stati sistemati in una fatiscente tendopoli a San Ferdinando.
Ora spostiamoci di 68 chilometri lungo la SGC Jonio-Tirreno e arriviamo a Riace – comune della Città metropolitiana di Reggio Calabria di circa 2000 abitanti. Nell’ormai lontano 1998 una barca di profughi curdi raggiunse le coste di Riace. Mimmo Lucano, negli anni successivi, si inventa un modello che unisce la sfida dell’accoglienza con le prospettive di rilancio del suo comune. Grazie ai migranti il paese ha contrastato lo spopolamento recuperando le case abbandonate e ha salvato i vecchi mestieri e le attività artigianali tramandadoli ai nuovi arrivati. Lucano ha deciso di aderire allo SPRAR: «Sistema di protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati» che è un servizio del Ministero dell’Interno che gestisce i progetti di accoglienza, di assistenza e di integrazione dei richiedenti asilo a livello locale. Inoltre il Modello Riace ha intrapreso azioni per ottenere fondi o mutui per la ristrutturazione delle abitazioni dismesse e, naturalmente, attraverso alcune associazioni, dare accoglienza ai rifugiati e ai richiedenti asilo che potranno lavorare nel comune stesso (in laboratori di artigianato).
Il 2 ottobre 2018 Lucano è stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Anche Lucano e il suo modello si sono confrontati con l’inevitabile transito dei migranti e dei richidenti asilo nei territori di Paesi Occidentali e ha fornito una risposta diametralmente opposta a quella di Rosarno. È vero che Rosarno ha rappresentato più che altro il senso di un’integrazione che è fallita, mentre Riace – almeno fino all’arresto di Lucano – quello di un accoglienza che ha funzionato. Ma è altresì vero che l’inevitabile (checchè ne dica il ministro Salvini) è inevitabile.
Umberto Eco diceva che in un paese come l’Italia dove la crescita è a zero (un paese di figli unici) gli immigrati costituiscono il futuro della nostra nazione… L’inevitabile porta Riace e Rosarno a confrontarsi con lo stesso problema. Ma Rosarno non fa la parte del cattivo necessariamente. In realtà i problemi di vivibilità e di reciproca comprensione fra autoctoni e immigrati esistono ovunque. Quelli di Rosarno e di Riace sono solo due aspetti dello stesso problema. Come confrontarsi con l’inevitabile?