Globalizzazione in sette mosse
Al pari dell’essere aristotelico anche la globalizzazione «si può dire in molti modi». Esattamente questi «modi» sono sette. Vediamoli nel dettaglio.
1) Anzitutto globalizzazione vuole dire capitalismo esteso a tutto il mondo (o a tutto il Pianeta fatta salva l’avvertenza di Gabriel Markus che «il mondo non esiste»). In questo senso la globalizzazione ha a che fare con l’allargamento, con la dilatazione, con la proiezione più amplificata di un universo di discorso che ci riporta allo scrittore DanielPennac. Nel suo libro Come un romanzo infatti quest’ultimo scrive a un certo punto: «Il tempo di leggere, come il tempo di amare, allarga il tempo di vivere». Parafrasando Pennac e rapportando tutto ad un mondo (a un Pianeta!) dove l’unico imperativo del capitalismo globale è quello di consumare, si potrebbe dire: «Il tempo di consumare, come il tempo di amare, allarga il tempo di vivere». La prima definizione di globalizzazione è dunque alla Pennac.
2) La seconda definzione ha a che fare con il carattere culturale della globalizzazione: esiste il globale ed esiste il locale ed esiste anche il glocale (cortocircuito fra globale e locale secondo la definizione di Roland Roberston). In questo glocale si innestano «movimenti nell’Impero» (Toni Negri) che coinolgono realtà disparate che vengono messe insienme fra loro. E’ la globalizzazione alla Roberston.
3) La terza definizione privilegia la dimensione dell’interdipendenza reciproca fra cose, merci, persone e transiti nel mondo globale: il battito d’ali di una farfalla a Tokio provoca un uragano a New Jork. Tutto è interconnesso, tutto è legato, tutto è coperto da un gigantesco link. È la globalizzazione alla Aristotele – vero e proprio esempio magistrale di filosofo della realzione, del contatto, del collegamento.
4) La quarta definizione di globalizzazione ha a che fare con la circolazione di merci e persone. La libera circolazione, nel contesto del Pianeta, oramai messa in atto da dinamiche che tendono allo «sconfinamento», alla rottura di argini, alla mancata separazione in blocchi. (Questo naturalmente avveniva dopo i dazi di Trump alla Cina del 45% e la possibile apertra ed edificazione di un Muro fra Stati Uniti e Messico). Per la quanto riguarda la circolazione il filosofo del movimento è Eraclito e in questi «spazi di flussi» (Manuel Castells) c’è spazio anche per il «fuoco» rappresentato dal possibile riempimento e pareggiamento delle diseguaglianze globali che sono la caratteristica più saliente di quelli che costituiscono i problemi globali oggi più urgenti.
5) la globalizzazione si può «dire» anche come scambio reciproco di informazioni, beni, esperienze di vita, gesti artistici, comunicazione. Questo scambio avviene naturalmente attraverso la stessa circolazione di tutte queste precise cose. Il sociologo dello scambio reciproco è Zygmunt Bauman che prefigurando un Pianeta fluido, morbido, molle e liquido fa si che tutte le particelle (sia pure senza avere una conformazione definita) possano engtrare in contatto con tutte le altre – spesso attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di massa.
6) La sesta definizione di globalizzazione è quella di Alain Touraine: la globalizzazione, per il sociologo francese, è esattamente quella dissociazione netta che si registra fra economia globalizzata e istituzioni. Infatti le sitituzioni (che continuano a esistere solo a un liovello territoriale più basso) non sono in grado di contrallare l’economia globale che è del tutto deregolamentata. Questa è la globalizzazione alla Touraine.
7) la settima e ultima definizione di globalizzazione è quella per la quale e attraverso la quale si vede che essa ha portato dei vantaggi ma anche dgeli svantaggi per le persone. Se, come diceva Jacques Derrida, il fatto che i Paesi dell’ex blocco sovietico si siano democratizzati velocemente è un vantaggio assoluto della globalizzazione, è anche vero che le crescenti marginalizzazioni, disparità e diseguaglianze (specie nei Paesi in Via di Sviluppo) sono un problema enorme per la globalizzazione. In definitiva essa, a questo punto, sdarebbe un marchingegno che deve essere usato o bene o male. Essa è, scondo questa settima definizione, il Pianeta dopo «la fine delle grandi narrazioni» (Jean-Francoise Lyotard) e il non ancora iniziato «Nuovo Realismo». La globalizzazione, come diceva in altro contesto Max Weber, nell’epoca del «disincanto del mondo». Naturalmente queste sette definizioni portano a una considerazione storica dei fatti che sono intercorsi dall’inizio della globalizzazione a oggi. Si possono divedere tre fasi storiche che sono le tre fasi attraverso le quali è passata la globalizzazione. La prima fase (o primo step) va dalla Caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) alla distruzione delle Twin Towers newyorkesi (11 settembre 2001) e all’attentato contro un ala del Pentagono e contro un areo commerciale nella Pennsylvania. La seconda fase va dall’ 11 settembre del 2001 alla data di uscita del Manifesto del Nuovo realismo (2012). Mnentre la terza fase della globalizzazione va dal 2012 ad oggi. Questa considerazione storica della globalizzazione ci porta a concludere che, pur nella settenaria varietà dei «modi» in cui si può dire la globalizzazione essa è pur sempre un fenomeno che ha ramificazioni nella vita della società e che si è evoluto. Non siamo di fronte a un fenomeno storico che è rimasto sempre se stesso. E non siamo neppure di fronte a qualcosas di sconosciuto che invade le strade delle nostre città con l’apertura dei vari MacDonald’s, Zara, Piaxzza Italia, H&M eccetera. Siamo davanti a un feomeno storico – come luo fu il Pianeta nei 43 anni della Guerra Fredda (196-1989) e siamo di fronte a un feomeno sfaccettato e ricco di varie implicazioni. Le sette definizioni ci servono per enunciare un teorema di fondo: in qualsiasi «modo» la si voglia intendere, la globalizzazione è presente nelle nostre vite. Essa costituisce – prendendo a prestito un titolo di Brian Green: La trama del cosmo– la trama che tesse la rete nella quale noi siamo i nodi come tanti knowledge workers che si aggirono e si dibattono per trovare un senso alla matassa. «Uomini nella polvere di una cometa/uomini nella rete senza una meta» diceva Francesco De Gregori in una canzone A trovare il senso di questo cambiamento epocale dobbiamo collaborare un po’ tutti. Ma soprattutto gli intellettuali. Infatti ad essi spetta la soluzione dei problemi che per gli altri esseri umani paiono insoluti.