Cinema urticante: divagazioni
La vicenda del locale marchigiano dove è (o sarebbe) stato spruzzato nella folla dei ragazzi dello spray al peperoncino per scherzo demenziale, per derubare, o per orchestrare un panico destinato a far saltare il concerto del rapper ormai irreparabilmente ritardatario, sta suscitando nei media molte riflessioni, di ordine culturale, sociologico e antropologico. Non sappiamo quale sia stata la causa della tragedia ma l’idiozia del gesto è senza pari e purtroppo sembra abbia anche avuto l’indomani degli imitatori.
In questa rubrica – senza nessuna concessione allo scherzo e all’ironia su cose gravi – ci si limiterà a ricordare come anche il cinema riflette le situazioni e le problematiche dell’attualità. Per esempio la questione dell’attrezzarsi di strumenti di difesa non letali (non di armi da fuoco) dinanzi a minacce alla propria sicurezza. In Elle di P. Verhoeven (2016) quell’attrice straordinaria che è Isabelle Huppert fornisce la sua ennesima interpretazione recente, invero ormai stereotipa, di donna matura disibinita, torbida e sessualmente iperattiva. Non è un film spregevole, tutt’altro. La protagonista subisce una terribile aggressione in casa, una violenza carnale ad opera di un uomo mascherato. Rivela tutto agli amici più cari, uno dei quali una sera si apposta con l’auto per proteggerla: nel frattempo ella si è armata di un machete e di spray al peperoncino, sospetta che quell’auto sia del violentatore e stalker, scende sotto casa sfonda il vetro dell’auto e innaffia il malcapitato amico di polvere urticante. Non accade niente di grave: basta un semplice lavaggio del viso e dopo non molto l’uomo torna in condizioni di normalità.
Lo spray al peperoncino compare anche tra le ossessioni di un personaggio del recente film italiano presentato a Venezia, La profezia dell’armadillo di Emanuele Scaringi (2018, non visto da chi scrive).
Per il resto, il peperoncino nel cinema è metafora. Esiste in Italia un’Accademia Italiana del Peperoncino che fra le sue attività prevede la organizzazione di cicli di film piccanti. Il peperoncino come metafora, dunque, che ha avuto in Italia probabilmente il suo esempio più “glorioso” nel film trash a episodi del 1980 Zucchero, miele e peperoncino di Sergio Martino (classe 1938), sin dagli anni ’60-primi ’70 sensibile al genere sexy (o thriller-sexy), tra i mentori di Edwige Fenech e poi dedito a polizieschi di ambientazione urbana di scarsa qualità. In Zucchero miele e peperoncino i vari ingredienti combinano una ricetta niente affatto gustosa, ma nel titolo c’è (come già in 40 gradi all’ombra del lenzuolo, del 1976) l’ammiccamento allo spettatore amante del genere, e appassionato (nella fattispecie) della Fenech o di Dagmar Lassander.
Per una scena reale dalla metropolitana di New York (2015): https://video.corriere.it/mai-spruzzare-spray-peperoncino-contro-uomo-arrabbiato/af344a34-a548-11e5-a238-fd021b6faac8