15 Novembre 2024
Words

Tolleranza, le cose come stanno

«Non cercate di turbare i cuori, e tutti i cuori saranno vostri» afferma Voltaire nel suo Trattato sulla tolleranza (Editori Riuniti, 1970). Abbiamo tanti modi per dirla: generosità, compassione, mitezza, carità, beneficenza, clemenza, equità, umanità, rispetto, vicendevole aiuto e mettersi d’accordo l’un l’altro. In una parola: tolleranza. Afferma Dario Antiseri nella sua Premessa alla seconda edizione de La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper (Armando, 20022): «La società aperta è aperta a più scelte di valori, a più visioni filosofiche del mondo e a più fedi religiose, ad una molteplicità di proposte per la soluzione dei problemi concreti e alla maggior quantità di critica. La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee ed ideali differenti e magari contrastanti, ma, pena la sua autodissoluzione, non a tutti: la società aperta è chiusa solo agli intolleranti».

Ci sono due generi di soggetti che sono soggetti alla tolleranza (in quanto applicazione di un valore): essi sono i tolleranti e gli intolleranti. Si deve essere tolleranti con i tolleranti e intolleranti con gli intolleranti. Se mi riempio di tritolo e l’11 settembre del 2001 faccio saltare in aria le Torri Gemelle non posso aspettarmi una pacca sulle spalle e che qualcuno mi dica: «Andiamo a prenderci un caffè».

 

Sterminati dai paragrafi

Continua ancora Voltaire: «Non bisogna né predicare né praticare l’intolleranza». Come afferma Herbert Marcuse nel suo Critica della tolleranza (Mimesis, 2011): la tolleranza «è un fine in sé». Inoltre essa è una caratteristica del moderno gioco politico anche in un altro senso. Sempre Voltaire afferma: «L’estremo più grande cui possa giungere la tolleranza non è stato seguito dal minimo dissenso». La tolleranza è benefica e sempre maggiore tolleranza fa seguire sempre maggiore tolleranza. Ancora Voltaire: «Il miglior mezzo per diminuire il numero dei maniaci, se ne rimangono, è di affidare questa malattia dello spirito al regime della ragione, che lentamente ma infallibilmente, illumina gli uomini. Questa ragione è dolce, è umana; ispira l’indulgenza; soffoca la discordia; consolida la virtù, rende gradita l’obbedienza alle leggi, più che la forza non ne animi l’osservanza». La tolleranza è ispirata dalla ragione. Dice ancora Voltaire: «Il diritto dell’intolleranza è dunque assurdo e barbaro: è il diritto delle tigri; è anzi ben più orrido, perché le tigri non si fanno a pezzi che per mangiare, e noi ci siamo sterminati per dei paragrafi».

 

Essere indulgenti

Gli intolleranti rappresentano un diritto assurdo, una contraddizione, un’aporia: con essi e su di essi non può esservi la ragione della tolleranza. Rispetto a questo assurdo la tolleranza deve arretrare come davanti a qualcosa di illogico. Non si può rimediare a una contraddizione; non si può dirimere l’ossimoro. Gli uomini hanno sempre avuto il dovere di trattarsi con indulgenza. Di fronte a questo dovere (che è appannaggio della filosofia morale) si ha che questa idea della ragione che è la tolleranza – che rappresenta un fine in sé – deve estendersi solo al dominio dei tolleranti (rifugiati politici, immigrati, persone in cerca di una prima occupazione, ecc.). Naturalmente questo dovere viene meno con gli intolleranti. In definitiva si ha che rispetto agli immigrati ecc. siamo di fronte a un problema politico; rispetto agli intolleranti siamo di fronte a un problema di sicurezza (forze di polizia, esercito, guardie di ogni tipo ecc.). Voltaire ne conclude: «Per essere felice nella vita terrena, per quanto lo permetta la miseria della nostra natura, che cosa occorre? Essere indulgente».

 

Uguali e diversi

Il dovere di tollerare «l’altro», dal punto di vista morale, è il dovere che mi è ispirato dalla ragione umana: se io lo adempio sarò felice. Ovviamente la tolleranza ha come sbocco il cosmopolitismo: considerare tutti gli uomini come fratelli. Ma evidentemente il problema della tolleranza si pone quando c’è un elemento di diversità, di difformità, di differenza. Se due sono uguali non si devono tollerare; inizia a porsi il problema della tolleranza quando due sono diversi. Voltaire dice ancora: «è molto crudele perseguitare in questa breve esistenza coloro che non la pensano come noi». Esistono due tipi di persone: chi la pensa come noi e chi non la pensa come noi. A loro volta fra quelli che non la pensano come noi ci sono: i tolleranti e gli intolleranti. È un bene che viga tale pensiero unico? Perché l’uomo trova tanta sicurezza nel riconoscersi a far parte di un insieme con tutti quelli che la pensano come lui? Perché dà più sicurezza pensarla in un modo ed essere appoggiati da qualcun altro? Marcuse è molto chiaro: «L’eliminazione della violenza e la riduzione della soppressione al grado richiesto per proteggere uomini e animali dalla crudeltà e dall’aggressione sono condizioni preliminari per la creazione di una società umana». La tolleranza (in quanto dovere di ospitalità – come amerebbe dire Jacques Derrida, del quale si ricorda il suo libro scritto a quattro mani con Anne Dufourmantelle, Sull’ospitalità. Le riflessioni di uno dei massimi filosofici contemporanei sulle società multietniche, Baldini e Castoldi, 2000) è sempre limitata. Essa è limitata dalla presenza degli intolleranti ma anche, come afferma ancora Marcuse, dalla posizione privilegiata degli interessi predominanti.

 

Due io

Nel nostro Paese oggi potremmo dire: dall’elettorato della Lega… Marcuse ci informa ancora che: «In un sistema di diritti civili e libertà costituzionalmente garantiti e (generalmente e senza troppe evidenti eccezioni) messi in pratica, l’opposizione e il dissenso sono tollerati a mano che essi non sfocino nella violenza e/o nell’esortazione e nell’organizzazione della sovversione violenta». C’è un io e poi c’è l’altro: due io. Questi due io sono diversi, la pensano in maniera diversa. C’è dissenso. C’è opposizione. C’è una differenza in qualche aspetto della loro esistenza. Il primo io ha il dovere di essere tollerante (a meno che il secondo io non gli spari in testa) sempre e comunque e di apprendere qualcosa da quella posizione di opposizione che, dialetticamente ed hegelianamente, può costituire l’elemento nuovo (la sintesi) che va ad aggiungersi a quello che già il primo io sapeva.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma: «Ognuno ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 18), d’opinione e d’espressione (art. 19), e l’educazione deve “favorire la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni e tutti i gruppi razziali e religiosi (art. 26)». La tolleranza è, dal punto di vista dei diritti, la condizione necessaria della pace e la condizione necessaria del progresso economico e sociale di tutti i popoli.

L’articolo 1 della Dichiarazione di principi sulla tolleranza afferma: «la tolleranza è il rispetto, l’accettazione e l’apprezzamento della ricchezza e della diversità delle culture del nostro mondo, dei nostri modi d’espressione e delle nostre maniere di esprimere la nostra qualità di esseri umani». Questo dovere morale – dettato dalla ragione – è costituito, nella sua essenza, da rispetto, accettazione e appressamento (oltre che da sopportazione) della diversità. Infatti Maria Laura Lanzillo nel suo Tollerenza (Il Mulino, 2001) afferma: «Tolleranza indica un atteggiamento di sopportazione nei confronti di colui che non viene riconosciuto uguale, la cui supposta inferiorità paternalisticamente si accetta di sopportare, senza che ciò implichi il riconoscimento di alcun diritto». Sopportazione e aiuto vicendevole – l’esempio di Riace e di Mimmo Lucano è sotto gli occhi di tutti… La globalizzazione ha portato al relativismo e questo ha portato al nichilismo: la conseguenza che si dice è che l’uomo può errare, la ragione può non riconoscere la verità (tanto più che la verità con la v maiuscola è sparita dal discorso pubblico con la fine delle «grandi narrazioni» di Jean-Francois Lyotard) per cui tutto questo implica la tolleranza. L’uomo può sbagliare: bisogna essere tolleranti. Oggi alla verità si sostituisce una pletora di opinioni e di interpretazioni: in questo mare di sentenze e di affermazioni come ci si può orientare? Sapendo sempre che l’uomo è fallibile e quindi ogni opinione vale per quello che vale. Ma se ogni opinione vale per quello che vale: tutte le opinioni hanno uguale cittadinanza, anche quelle difformi dal nostro pensiero.

 

Non esiste più la verità?

Il relativismo (conseguente alla fine delle «grandi narrazioni» che hanno caratterizzato la modernità) che per Gianni Vattimo conduce a dire Addio alla verità (Meltemi, 2009) caratterizza la globalizzazione: in essa infatti «non ci sono fatti, solo interpretazioni» (Friedrich Nietzsche) per cui l’uomo postmoderno si trova alle prese con la doxa. E come l’essere di Protagora anche per lui così come una cosa è per lui così quella cosa è e come la stessa cosa è per un altro così quella cosa è.

Contro tutto questo si è scagliato Maurizio Ferraris nel suo Manifesto del nuovo realismo (Laterza, 2013) nel quale egli afferma che un nucleo inemendabile permane pure di fronte a tutte le interpretazioni. Insomma dal 1946 al 1989 e per tutta la Guerra Fredda il mondo era alle prese con la Verità (una Verità solida come era solida la divisione nei due blocchi che dividevano l’intero discorso politico): dal 1989 l’uomo è alle prese con l’opinione – ma un nucleo indissolubile comunque rimane. Se è vero che i terroristi hanno fatto saltare le Torri Gemelle e se è vero che gli americani hanno visto tutto quanto lo svolgersi dell’attentato in televisione (per cui la loro Verità era solo quella televisiva, cioè un’interpretazione): è anche vero che le Torri sono cadute veramente. Da questo nucleo inemendabile si deve dunque partire per restaurare non la Verità ma la tolleranza.

 

Esiste una verità inemendabile: non ciò che si sa, ma le cose come stanno

Dice Diego Marconi nel suo Per la verità. Relativismo e filosofia (Einaudi, 2007) che una proposizione è vera se dice che le cose stanno come effettivamente stanno. In questo senso non c’è differenza tra stabilire come stanno le cose e accertare la verità. La realtà appartiene al dominio dei fatti. Occorre, per ripristinare la Verità, stabilire come stanno le cose. Ma come stanno le cose? La Verità nella condizione postmoderna è quella dell’ironia, della multivocità e della complessità. Occorre ristabilire la Verità dell’inemendabile. Marconi dice ancora: «Non è facile dare un senso preciso all’idea della relatività della verità, cioè alla tesi che una credenza o un’asserzione può essere vera per X ma non per Y». I postmodernisti hanno negato la nozione di fatto. Ma negare un fatto vuol dire relativizzare la verità. Che ne è della tolleranza in tutto questo? Essa si deve ancorare al rispetto del diverso – come abbiamo visto. È un fatto che X sia diverso da me? Dove sta la diversità di X? Che cosa costituisce X?

Per ripristinare la tolleranza (e quindi alla fine anche la verità) bisogna ripartire dai fatti e non dalle interpretazioni. Da quel nucleo inemendabile costituito, per esempio, dall’affermazione che il sale era cloruro di sodio anche per gli antichi greci – anche se loro non lo sapevano. Non ciò che si sa, ma come le cose stanno.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.