I politici più antipatici del 2018
Chi è davvero l’antipatico? È un amico a rovescio, diceva la scrittrice Marguerite Yourcenar. E qui parliamo di politici: i più antipatici e subdoli che abbiano attraversato con la loro presenza e le loro esternazioni il 2018, l’anno che se ne va.
Gli scienziati del comportamento dicono che il leader politico deve essere bello. Voters vote Beautiful, si intitolava così uno studio dell’Università di Műnster del 1974. Quindi i leader devono essere belli, ma anche alti come dice un altro studio del 2011, sostenuto dalla Texas Tech University, ma devono avere anche una voce grave. La voce stridula o inutilmente alta fa sorridere e immaginare la solita “scorreggia vestita” o magari una “checca isterica”, peraltro molto diffusa nei Palazzi del Potere.
Tutti elementi fisici positivi, la voce bassa e l’altezza, che fanno pensare o, meglio, percepire un leader assertivo, capace di dirigere gli altri, ma anche paternalista e disposto all’ascolto dei suoi elettori o gregari. La voce bassa e l’altezza, dicono gli studiosi di questo strano argomento, permettono un atteggiamento simultaneamente autoritario e paternalista. D’altra parte, la politica è l’arte di servirsi degli uomini facendo finta di servirli.
Sulla base di questi concetti accademici, il politico-modello in Italia possono farlo davvero in pochi e nessuno tra quelli che conosciamo. Sono proni agli indici di gradimento, hanno spesso la voce suadente ma non grave, a volte sono bassi e sembrano sempre fuori posto. La cafoneria non è mai il tratto del leader, che si può permettere sgradevolezze solo in particolari momenti. Presidenti bling bling, con gemelli eccessivi e le cravatte malmesse, non saranno mai capi. L’eleganza naturale fa il leader. D’altra parte, se credete nel detto ”uno vale (uguale a) uno”, dovrete accontentarvi di piccolo-borghesi ignoranti, di popolani loquaci e maldestri, di ragionieri praticoni e di giocolieri da circo, oltre che di terrapiattisti e di gente che crede all’esistenza delle sirene. Dunque, in assenza di politici veri e di leader ci piace chiudere questo 2018 con un breve elenco di politici antipatici.
Al primo posto ci potrebbe essere il solito “morto-nonmorto”, lo zombie Matteo Renzi, un evergreen dei popolani loquaci (ma i veri toscani non sono mai chiacchieroni), certo non bello, però con una vocina che può arrivare all’acuto, grassottello e affine, nell’immagine, all’amichetto stronzo che ti ruba la merenda. Bullo di periferia contadina, non sa nulla ma ti ripete quello che gli hai detto, sembrando quindi sapiente. Abile a trasformare le innumerevoli sue gaffes in battute. Sta sempre al Four Seasons di Firenze di proprietà dell’Emiro del Qatar, di cui vanta l’improbabile amicizia. Più Calandrino che Ser Ciappelletto, è facilmente sgamabile da un toscano, che si ricorda di infiniti tipi da bar come lui, presenti in tutti i borghi della regione. Vende bene nel resto dello stivale, dove si adorna dell’aura di un ipotetico sesto tra gli “amici miei”. Ultimamente sembra finalmente aver trovato la sua strada, il presentatore televisivo, presentando i capolavori dell’arte fiorentina come fossero uno smorto ma adeguato sfondo alla sua figura.
Altra regola, che non scrivono i ricercatori anglosassoni ma che è verissima: “Non far passeggiare qualsiasi altro affetto nel tuo sembiante, che di umanità e cortesia, né ti ridurre di leggieri per qualsiasi facezia, che ascolti, a ridere”. La frase è non è di un ricercatore flippato della California, ma del cardinal Mazzarino. Il suo Breviario per i Politici dovrebbe essere distribuito all’ingresso delle due Camere, da baffuti Carabinieri in divisa di gala.
Il secondo posto va di diritto a Emmanuel Macron. Algido, saccente, nessuna leadership naturale ma tanta prosopopea, tipica di chi ha letto il manuale di Dornbush tante e tante volte da credersi un economista. Marito di sua “nonna” – che io gli preferisco di gran lunga – è stato ormai distrutto (nei sondaggi e nell’onore) dalla rivolta dei gilets jaunes, che ha alla fine contrastato come fanno tutti i deboli: dando ragione al suo avversario. Antipatico, probabilmente, anche a sua moglie “Manu”, come si fa chiamare in privato, è servile verso tutte le mode, specialmente quelle di oltreoceano. Come tutti gli insicuri tratta male i poveracci, ha scarsa cultura malgrado il suo sbandierato rapporto con Paul Ricoeur, che è morto nel 2005 e non può confermare. Ma non sa, per esempio, che il debito pubblico Usa vero è di 72 mila miliardi, il 350% del Pil americano e l’86% del Pil mondiale.
A ruota viene Danilo Toninelli. Il ministro delle Infrastrutture è ormai talmente bersagliato dalla satira che il passaggio dalla pena alla mestizia nei suoi confronti è diventata labile. Ha cominciato col pugno alzato; poi l’incredibile “tunnel del Brennero” che, pur non esistendo, è “di aiuto agli imprenditori”; il decretone su Genova che si sgonfia in tre giorni e fa sorgere il condono per l’isola di Ischia; l’ossessione anti-TAV, in quella Val Susa che fu poligono di addestramento delle BR torinesi… Toninelli è di diritto al terzo posto, ma con la simpatia umana che si deve ai perseguitati, in questo caso da se stessi e dalla propria miseria umana e culturale.
Al quarto posto mettiamo di diritto Angela Merkel, con la comprensione che va ai perdenti. Adorata dalla gauche caviar per aver accettato in Germania migranti ben selezionati e per aver pagato, con i soldi di tutta l’UE, tre miliardi alla Turchia perché se li tenesse, in campi dove spadroneggia la mafia turca, Angela può senz’altro corrispondere alla dizione di c…inch…, secondo la franca definizione del Cavalier Berluscono, ma è più quella che ha fregato gli italiani con la deflazione interna generata dalle leggi Hartz (che l’ingenuo Di Maio è andato a studiare) e l’esportazione selvaggia (a prezzi più che concorrenziali) verso tutto il mondo, perché si è abbassato duramente il costo del lavoro tedesco, mentre in altri Paesi stava salendo, grazie al magico euro.
Al quinto posto c’è Matteo “il” Salvini, un ministro di tutto fuorché dell’Interno (quello che insieme al collega della Difesa dovrebbe essere il “ministro della Forza”, come lo chiamano i russi). Siamo di fronte a uno studente fuori-corso di Storia che crede di fare la Storia. Il silenzio, che è un segno di sapienza tra gli orientali e si adatterebbe molto bene anche ai ministri della Repubblica italiana non l’ha mai contagiato e infatti “il” Salvini sparla a destra e a manca.
L’Occidente ha ormai perduto la sapienza, è divenuto una appendice della sua tecnica e della sua finanza, unite insieme in un mortifero abbraccio. E alla fine il vero antipatico è chi vuole e sostiene questa classe politica. Ovvero il popolo. Esso elegge non chi lo cura, ma chi lo droga. La politica è l’arte di agitare il popolo prima dell’uso. Sono questi i lémuri preconizzati da Jűnger. E allora, cosa fare? Ritirarsi a coltivare il proprio giardino, senza fare troppo rumore. Che è sempre indice di ignoranza.