La storia di Forrest Tucker nell’addio di Redford alle scene
Old man and the Gun (di D. Lowery, USA 2018, 93′) è un film di puro intrattenimento, godibile senza essere stimolante né emozionante. Tutto basato sulle performances di Robert Redford (che ha dichiarato trattarsi del suo addio alla recitazione) e anche di Sissi Spacek (l’indimenticata protagonista di La rabbia giovane di Malick, Carrie lo sguardo di Satana di De Palma o di Tre donne di Altman) ha ricevuto elogi sperticati dalla critica americana. Secondo Richard Brody di The New Yorker sarebbe “un’interpretazione gloriosa in un film glorioso”; mentre secondo Ann Hornaday di The Washington Post, “Robert Redford è formidabile, carismatico e sempre irresistibile”. Suggeriremmo di volare molto più basso. La visione è consigliata solo per coloro che, appunto, desiderano vedere alcuni bravi attori all’opera e celebrare il farewell di Redford. Un grande, che merita rispetto e ammirazione.
Il film è tratto da una storia vera (si veda David Grann in The New Yorker del 27 gennaio 2003: https://www.newyorker.com/magazine/2003/01/27/the-old-man-and-the-gun) divenuta famosa negli USA : quella di una banda di esperti, e anziani, assaltatori di banche, tra i quali spicca il più anziano di tutti, Forrest Tucker (Redford). Tucker morì nel 2004 a 83 anni dopo essersi lanciato ormai ultrasettantenne nella organizzazione di una serie di rapine che lo avevano infine condotto alla sua ultima esperienza di carcere, nel 2000. Di fatto sin da ragazzino un predestinato: dalla marachella, al furto, al reato penale più grave. Tucker-Redford si rivela anche un formidabile “evasore”, non nel senso di evasore fiscale, ma di organizzatore di fughe dalle carceri nelle quali viene via via rinchiuso. Nel ricostruire tali evasioni il regista monta astutamente una serie di vecchie ed evocative immagini di vecchi film di Redford. Se ne contano 16, e alla 17a rinuncia almeno nella pellicola qui recensita per la preghiera della sua nuova compagna Jewel (la Spacek). Non c’è penitenziario in grado di bloccarlo e la sua inventiva ne fa quasi un eroe popolare. L’escape più celebre è quella da San Quentin, avvenuta tramite una barca di fortuna.
Il fatto che il film sia tratto da una vicenda realmente accaduta (del resto la realtà è spesso più sorprendente della fantasia, questo è un enunciato incontestabile) non ne rende più amabile la scarsa credibilità, e a tratti sicuramente le necessità della drammatizzazione inducono a rasentare il semiserio e il grottesco. E anche il concetto teorizzato da Forrest Tucker-Redford che si rapina per vivere e non per avere di che vivere è doppiamente stupidino: vogliamo fare i moralisti: non si dovrebbero commettere violenze nemmeno simulate e se proprio serve che almeno serva per campare o campare bene, non per il gusto. Certo per un addio agli schermi tutto questo va benissimo: Redford fa mirabilie, nelle vesti di una specie di Arsenio Lupin transoceanico, più attempato e barcollante e con maggiori attitudini al maneggio delle armi da fuoco. Studia spesso attentamente i piani con i suoi compari, ma ha anche come attacchi ossessivo-compulsivi, o concepisce le rapine a mano armata come un hobby. E nell’epilogo del film gli capita qualcosa di simile. Si sente imprigionato nella casa-ranch della sua benevola e dolce anziana compagna, che pure lo ha atteso per molti mesi dopo l’ultima incarcerazione, convincendolo a farsi rilasciare prima per buona condotta: Redford non può stare con le mani in mano, “evade” anche di lì, e decide scientemente di… finire la sua vita in prigione. Si allontana con una scusa dalla casa di Jewel, vede una banca, ci si infila dentro per una ultima rapina improvvisata.
Tutto ciò è piacevole e a tratti divertente ma scarsamente interessante. Dipende da cosa si cerca in una sala. Manca poi anche l’elemento della tensione psicologica, che ne risulta alleggerita se non caricaturizzata per favorire in termini di divertissement le interpretazioni di Redford e degli altri protagonisti, tra i quali un elogio merita il detective scoglionato Casey Affleck (cacciatore di Forrest Tucker al tempo stesso affascinato dalla sua figura) e il compagno di rapine di Redford, Waller, un Tom Waits che come attore, almeno qui, funziona così così; va visto con simpatia e indulgenza per i suoi meriti imperituri di straordinario musicista.