Il gradevole e intelligente ‘bavardage’ di O. Assayas: “Il gioco delle coppie” (“Doubles vies”, FRA 2018)
Per circa mezzora questo film, diretto e sceneggiato da Olivier Assayas (1955, autore eclettico per varietà di stili e temi, da ultimo di Personal Shopper, 2016), ci è parso un irritante e pretenzioso cicaleccio: dialoghi vertiginosi ma fatui tra bei divani, ‘verres’ di bianco, uffici e librerie di una maison de presse tesa a massimizzare il proprio successo. Il tutto secondo stereotipi anche un po’ polverosi: il rapporto personale e di lavoro tra il direttore editoriale e uno dei suoi autori storici, scarsamente ispirato e ripetitivo, incapace di stare al passo coi tempi; tradimenti tra le due coppie al centro dell’intreccio chiaramente dietro l’angolo: il manager Alain (Guillaume Canet), sua moglie e attrice di fiction televisivi Selena (Juliette Binoche), lo scrittore Léonard (Vincent Macaigne), la sua compagna Valérie (Nora Hamzawi).
Qualcosa però poi cambia, col progredire del film, nella percezione di questo articolista, che può anticiparne una valutazione di fondo. Tutto sommato questa commedia letteraria non è priva di autoironia, ed è tra le prime se non la prima nella quale vengono toccati e affrontati, e anche in modo approfondito, a costo di appesantire la sceneggiatura, questioni nodali dell’odierno mondo dell’editoria nell’èra digitale. E dunque le questioni del rapporto tra editoria e autori, editoria e internet, del successo come blogger quale presupposto di ulteriori riconoscimenti, delle nuove figure professionali, del conflitto tra gli ebooks e i libri a stampa, dell’incidenza del digitale rispetto alla tradizione… e ancora: le presentazioni semideserte, le discussioni (curiose ma veritiere) tutte protese a anticipare il futuro della tecnologia per non farsi trovare impreparati, il ruolo di facebook con i suoi “likes” e “likes” prezzolati, la dimensione dei tweets, gli audiolibri, la verità e la post-verità, i microcosmi artificiali costruiti dai social network, la “democratizzazione” della scrittura e i suoi rischi. Questi e altri aspetti della società e certo in primo luogo della civiltà del sapere odierna sono trattati da un bombardamento di parole in questo film, tutt’altro che sciocco. Doubles vies – in modo fuorviante tradotto come Gioco delle coppie nel titolo italiano – fa per esempio riferimento, più che a qualcosa di connesso con vicende sentimentali, allo scrittore autobiografico, che trasferisce di peso la realtà nella finzione, o ai doppi giochi legati al management del mercato editoriale che creano nelle relazioni interpersonali non trascurabili dissesti.
Paradossalmente, data l’attualità del soggetto, forse anche per il phisique du rôle di qualche interprete e soprattutto per il posto che ha l’elemento del ragionamento massivo, della discussione incessante, si ha a tratti la sensazione di stare assistendo a un film dei tempi del postsessantotto. Si è pensato al vecchio (quello veramente magnifico) La salamandre di quel maestro che è Alain Tanner. Lo scioglimento del film è forse prevedibile, ma pieno di umanità e di verità di ciò che è la vita: alla fine decisiva è la rivelazione di Valérie a Leonard: è incinta di tre mesi; e lo scrittore un po’ frustrato, quell’omaccione corpulento che affascina le donne con il suo essere per certi versi fuori dal tempo, e incapace di adattarsi al mondo attuale, è finalmente felice così come lo è la futura madre, sino ad allora stressatissima segretaria di un politico. Ciò che conta è la sostanza degli affetti che, al di là delle inevitabili derive e distrazioni, si ritrovano.
Si sarà capito, basta superare lo scoglio, ossia l’iniziale impressione del futile ‘bavardage’ (alla Allen, o forse ancor più alla Rohmer nei loro peggiori panni: ma è un’impressione)… e si gusteranno 108 minuti di grazia, acume, pieni di domande e di tentativi di risposte. Commedia non geniale, ma seria. Belli gli ambienti naturali e gli arredi di interni, tra Parigi, Arles, Maiorca; discreta la recitazione di una sempre seduttiva Juliette Binoche, ottima quella di Macaigne. Modesta per staticità facciale, con un sorrisino sempre stampigliato a filo di bocca, quasi stesse recitando in un video tra amici la recitazione di Canet. Ma forse serviva così.