Note su Kubrick, a vent’anni dalla morte
Stanley Kubrick (New York, 26 luglio 1928-St Albans, 7 marzo 1999), di origine ebraiche, morto venti anni fa dopo l’ultimo e suo peggior film (Eyes Wide Shut), un film disperato come Salò o le 120 giornate di Sodoma per Pasolini, ha meritato i servizi che nei giornali e tg di tutto il mondo gli sono stati riservati. Nel 1997 ebbe il Leone d’Oro alla carriera ma nessuno dei suoi film ha avuto un riconoscimento nei maggiori festival del cinema internazionale.
Non è stato, comunque, per una volta, un genio incompreso ed è anzi stato considerato da più generazioni un regista di culto, anche se probabilmente solo per pochi dei suoi lavori, quelli più provocatorii o “commerciali” (ammesso che un film come Shining lo sia). Ha girato con maestria tecnica e densità di contenuti film di ogni tipo, stile, genere (anche se solo con cautela si può utilizzare questo concetto per la filmografia di Kubrick): quasi come sfidasse se stesso, reinventando ogni volta i canoni e il linguaggio. Dopo i film di esordio dove già si notava il suo eccezionale talento (Paura e desiderio del 1953, Il bacio dell’assassino del 1955) passa al poliziesco metropolitano di Rapina a mano armata nel 1956, alla riflessione sulla guerra l’anno dopo con Orizzonti di gloria, al kolossal – il film meno suo per vari motivi – con Spartacus del 1960, alla trasposizione da un romanzo famoso, e dunque al rapporto tra cinema e letteratura con Lolita (1962), alla satira politica antimilitarista sullo sfondo della guerra fredda nel 1964 con il Dottor Stranamore, al fantascientifico (da chi scrive meno amato) 2001 Odissea nello spazio del 1968. Negli anni ‘70 gira solo due film, i maggiori di Kubrick, i capolavori assoluti :Arancia Meccanica-Clockwork Orange del 1971 (taglio antropologico e sociologico), e il divino film storico Barry Lyndon, del 1975, sul quale pagine importanti ha scritto Sandro Bernardi. Seguiranno l’horror di Shining (1980), Full Metal Jacket (ancora sulla guerra, 1987), e infine il già menzionato Eyes Wide Shut (1999). Maniaco dei dettagli come quasi tutti i grandi cineasti, seguiva passo per passo le sue opere fino all’uscita nelle sale. Questo spiega perché in tanti anni di carriera abbia diretto relativamente pochi film e, anche, perché raramente abbia sbagliato un colpo.
Se il genio non è incompreso, non per questo la tv di stato saprà dedicargli una retrospettiva integrale, in prima o in seconda serata. La retorica del super-stipendiato e didascalico Fabio Fazio chissà magari lo ricorderà nella sua trasmissione domenicale, magari troverà qualche attore kubrickiano ancora vivente e lo additerà alla pubblica ammirazione. Forse qualche sparuta proiezione comparirà su La7 o su Sky. Ma non si conosce un autore e la sua arte, se è grande, se lo si conosce a sprazzi, in modo incompleto e frammentario.
Qui di seguito un video dedicato a Emilio D’Alessandro, che fu collaboratore per decenni di Kubrick e un bell’articolo di Nicolas Fabiano.
https://www.youtube.com/watch?v=xwsUj53Nm_U
https://www.lintellettualedissidente.it/homines/stanley-kubrick/