Avanti tutTav
Il Pertus del Viso, completato nel 1481 dal marchese di Saluzzo, fu il motore dello sviluppo economico del Piemonte saluzzese e cuneese, fino a che nel 1601 i saluzzesi non furono annessi al ducato di Savoia. Allora non c’erano manifestanti dei centri sociali.
Il 17 settembre 1871 si inaugurò il traforo ferroviario del Frejùs, che era iniziato nel 1857 e completato con un finanziamento di 70 milioni di lire. In tutto, ci lavorarono quattromila operai e alla fine, in un tripudio di garofani rossi e di canti risorgimentali, i lavoratori italiani festeggiarono l’occasione. Il progresso, l’unione tra i popoli, il lavoro che costruisce l’avvenire. Tutte cose che oggi fanno sorridere gli eterni “fuoricorso di Lettere” o i bibitari degli stadi che bloccano sempre tutto…
Per gli appassionati di pseudo-economia (come quelli delle tabelle costi-benefici, usate da Decalogo del Sinai), converrebbe sapere che nei primi sei mesi del 2018 sono passati dal Frejùs 13.309 bus, più 893mila veicoli, di cui 466.764 leggeri 413.780 pesanti. Il Frejùs, quel passo che secondo alcuni No-Tav dovrebbe essere “ampliato” per sostituire il “pericolosissimo” TAV.
Ancora un cenno storico. Il 12 maggio 1979, alla presenza di Andreotti e del primo ministro francese Raymond Barre, venne inaugurato, sempre al Frejùs, il nuovo tunnel automobilistico, la più lunga galleria d’Europa. Il traforo del Col di Tenda è poi ritornato commerciale, e anche del tutto efficiente dal punto di vista economico, nei primi di ottobre del 1979. E continua a macinare utili per la società che lo gestisce, e per tutti coloro che lo utilizzano.
Quando l’Italia funzionava ancora ci fu – lo ricordo per tutti quelli che credono che non si possa mai fare nulla – il Piano INA-casa di Fanfani, che durò quasi quattordici anni, dal 1948 al 1962, con progetti firmati da Libera, da Giò Ponti, da un Gabetti, da Aymonino, e anche da Albini, e Sottsass. Questo piano mise a disposizione degli italiani che ne avevano diritto, ben 2800 unità abitative a settimana e ben 550 appartamenti consegnati, sempre ogni sette giorni, alla popolazione. E ricordatevi che all’epoca il tasso di disoccupazione era, alla fine di una terribile guerra, meno elevato, in termini assoluti, di quello attuale. Allora c’erano 41mila operai occupati all’anno; 20mila cantieri in totale per tutto il periodo del Piano Fanfani, con un totale di impieghi del 10% di tutte le giornate lavorative italiane di quegli anni. Certo, Amintore Fanfani (un ego smisurato che nemmeno Renzi) aveva il potere di fare le cose, non era un parlamentarino semianalfabeta che legge a stento le rassegne stampa.
E poi la A1, la “Autostrada del Sole”, costruita da San Donato Milanese (l’ENI!) fino a Napoli. Quasi 800 chilometri inaugurati nel 1964. Il cantiere era stato aperto nel 1956 e il costo finale fu di 272 miliardi di lire. Già allora ci furono i critici, come quell’articolo de “L’Unità” che si chiedeva “vado a Napoli perché?” e qui sembra di risentire un ministro attuale, che afferma essere inutile “andare a Lione”. Basterebbe solo vedere laggiù il museo des Tissus, 3 milioni di campioni di tessuto con 4500 anni di produzione, o anche il Museo Lumière, la storia del cinema.
Infine, ma potremmo dilungarci a lungo sul potenziale di spesa e di progettualità della “prima Repubblica”, il Sistema Sanitario Nazionale, nato con la Legge 833 del 1978 e con decorrenza dal 1 luglio 1980, basato sul criterio giuridico e costituzionale della Salute come “bene necessario”. Nel 2000, l’Organizzazione Mondiale della Sanità affermò che l’Italia aveva il secondo miglior sistema sanitario al mondo; nel 2014 la stessa organizzazione certificò che il nostro SSN era il terzo al mondo per efficienza della spesa. Oggi il Sistema Sanitario Nazionale ci costa 113 miliardi l’anno, con una incidenza della spesa sanitaria sul PIL del 6,8% nel 2018 e, quest’anno, del 6,4%. Ma chi vorrebbe, anche tra gli esterofili, il Medicare e il Medicaid americano? Un sistema USA che vale solo per alcune categorie o comunque per gli over 65, con piani di assistenza sanitaria offerti dai privati e che costa, in media 437 dollari al mese. Le parti B del servizio para-pubblico Usa, quelle ospedaliere, e non farmacologiche costano in media 135,50 dollari al mese. Il Medicaid, il programma specifico per i più poveri, sostenuto con risorse federali gestite dagli Stati, costa comunque il 5,3% della spesa pubblica (dati 2018). Come si può intuire dalla immediata comparazione dei dati tra gli Usa e il nostro SSN, tanto varrebbe fare un sistema a copertura universale. Anche se le proiezioni di spesa sul Medicare-for-all proposto recentemente da Bernie Sanders appaiono monumentali.
Ecco, questa era l’Italia. E allora cosa è successo con la TAV nella mente degli italiani, uno su tre analfabeta funzionale? Perché si ha paura di un’opera che, a confronto di quello che hanno fatto Fanfani, i socialisti di Aniasi per la Sanità, i tecnocrati cattolici di Autostrade, i riformatori della scuola media unica, sembra solo un piccolo buco?
Il primo passaggio della trasformazione mentale, del vero e proprio lavaggio del cervello di massa tra il 1989 e il 1994, è stato il mito di mani pulite, ovvero quando un PM particolarmente ignorante e di scarsi titoli viene identificato, da Andreotti, per far fuori Craxi. Ovvero far fuori tutto il PSI e i suoi amici liberali, repubblicani o socialdemocratici per far arrivare il “Divo” alla Presidenza e chiudere la questione comunista, assorbendo gli orfani di Mosca in un nuovo partito. Certo, anche Giulio Andreotti avrà poi le sue belle gatte da pelare verso la magistratura, con la esilarante storia del bacio a Totò Riina. Ma quella era un’altra partita, che si giocava soprattutto all’estero.
Da quel momento in poi, con una propaganda colossale, secondo la quale tutto era colpa della classe politica, mentre magistrati, imprenditori, finanzieri, professori universitari, banchieri erano tutti candidi come gigli, si creò, nella povera mente dell’elettore medio, l’idea che ogni spesa pubblica serve solo “ai ladri”. Bel risparmio, ora non si spenderà più. Poi è arrivata la “decrescita felice”, l’idea che ogni attività umana sia solo una inutile distruzione. Mi ricordo anche di uno scrittore che arrivò, negli anni caldi delle polemiche contro la TAV in Val di Susa, a dire che era la valle era “piena di uranio”, paventando chissà quale bomba atomica piemontese. Il fatto è che la media di uranio (che non è il suo isotopo radioattivo U234 o U238, che vanno estratti con fatica) della Valle è esattamente quella che si trova in ogni collina italiana, senza danno alcuno. Sembra di risentire la storia di De Sade che urlava dalla Bastiglia, di torture e innominabili peccati, che esaltavano le masse che stavano per “liberarlo”, ma era quasi da solo in carcere.
Già, e la TAV dunque?
Nel 1990 nasce il comitato per la direttrice est-ovest (Trieste-Torino-Lione) e, nel 1993, il progetto riceve l’assenso della UE. In quell’anno, la TAV viene inserita tra i 14 “progetti prioritari nel settore dei trasporti e dell’energia” e nel 1996 il ministro dei Trasporti di allora firma il primo accordo con la Francia. Nel 2001 il ministro Bersani firma il primo progetto di tracciato di linea. Il concetto dei trattati era quello della “saturazione”: ovvero, il tracciato sarebbe stato compiuto nel momento in cui si sarebbe verificata la saturazione delle linee preesistenti.
Secondo le nostre informazioni, tra navette, TGV francesi, TER, treni merci (una quarantina al giorno in media) siamo proprio alla saturazione predetta dai vecchi trattati. Lo dice da tempo la Francia, lo dice anche un buon numero di studi tecnici, magari meno ameni di quello presentato al governo italiano. Lo dice anche un mio amico che va spesso da Torino a Lione e ci mette sempre troppo tempo. E, comunque, è sciocco aspettare che tutto si fermi, per poi gridare ai “ritardi” nella costruzione della linea nuova.
In ogni caso le opere pubbliche si fanno, o se non si vogliono fare un governo serio finisce quello che è a metà e le opere pubbliche si concludono.
Vorrei tanto sapere cosa è accaduto alla povera mente degli italiani, tra il Piano Fanfani e la pantomima sulla TAV.