Successo del Festival “Middle East Now” (Firenze, 2-7 aprile 2019)
Ai cinema La Compagnia e Stensen di Firenze, insieme all’Alfieri e all’Odeon i nuclei più vitali di cultura cinematografica della città toscana le sale sono state costantemente piene: alimentazione, arte, e specificamente cinema dal Vicino Oriente, in una interazione molto ben architettata, con la presenza in sala di figure di primissimo piano. E’ stato veramente suggestivo vedere la sala de La Compagnia per un film iraniano che si affollava all’inverosimile e ciò è successo ogni sera. Se lo scotto da pagare è creare un ambiente un po’ snob dove ci si sente importanti e colti, con bookshop, divanetti e gambe accavallate, apericena a buon prezzo, e conseguenti cocktails che favoriscono le cascaggini di alcuni spettatori colti ma stanchi e/o annoiati (la parte più faticosa, la visione), d’accordo ben venga. Anche molti giovani, alla ricerca di nuovi contatti, affamati di saperne di più su altre realtà etniche e nazionali, magari di mostrare il loro grado di consapevolezza e apertura solidale anche così, e magari desiderosi di collaborare alle iniziative, e fare esperienze ulteriori rispetto allo studio.
In programma 44 film di produzione marocchina, siriana, turca, iraniana, afghana ecc., documentari e opere di fiction di forte connotazione sociologica e realistica, con al centro i rapporti interpersonali le storie familiari e sullo sfondo società povere, difficili, ma in fondo più umane di quelle capitalistiche, che anzi sono responsabili di quelle difficoltà e di quelle povertà. Questo sarà il retropensiero di molti benpensanti (cioè che pensano bene), naturalmente non è il mio. Da sottolineare particolarmente le proiezioni di opere di Asghar Fahradi, ben noto fra i registi iraniani (chi scrive ha visto in questi giorni per la prima volta di lui il discreto Fireworks Wednesday del 2006), vincitore di due Oscar per il migliore film straniero (Una separazione, 2011, già premiato a Berlino; Il cliente, 2016. premiato per la sceneggiatura a Cannes) anche se Fahradi ha boicottato la cerimonia per manifestare contro Trump.
Tutto ciò è commendevole. Rimane il fatto che nel panorama fiorentino (e italiano, con qualche eccezione: Torino, Bologna, Roma) scarseggia, anzi è nulla, l’attenzione per la storia del cinema, anche nelle sale menzionate all’inizio: non basterà certo proiettare un vecchio film di richiamo una volta al mese, magari post meritorio restauro, per costruire sensibilità e preparazione in tal senso. Chi vede più i film in bianco e nero, al cinema o in televisione? La programmazione televisiva è pietosa. Sky non riesce a inaugurare un canale di qualità fra i quindici che offre agli abbonati. Le retrospettive, o definite tali, sono ridotte ovunque a proiezioni patetiche di quei pochi film dei grandi maestri che hanno avuto successo di cassetta (per fare un solo esempio degli autori meglio trattati, di Kubrick 2001; Arancia Meccanica; Barry Lyndon; Shining: poco del resto), e che nessun giovane sa inquadrare né nel contesto della storia del cinema né all’interno della carriera di un autore che si è visto se va bene a frammenti. Ho chiesto a una mia classe universitaria se qualcuno conosceva – nel senso di aver sentito i nomi o meglio di avere visto qualche film – Bergman, o Losey o Buñuel. Saranno state sei o sette braccia alzate su 200 di laurea triennale. Uno su 30 di laurea magistrale. Avrei potuto chiedere di R. Clair, F. Lang, J. Huston, J. Rivette, E. Rohmer, L. Anderson, K. Ichikawa, S. Ray e molti altri… sarebbe andata peggio. Sicuramente tutti avrebbero alzato il braccio per Tarantino. Nessuno riconoscendo le citazioni che ne punteggiano i lavori (peraltro di qualità discontinua: non si tratta di un grande maestro).
Storia, storia, storia, anche del cinema e nel cinema. Questo manca. E certo apprezzabile ma insufficiente, se si hanno intenti di formazione, quanto abbiamo evocato all’inizio di questo breve e un po’ polemico pezzo.