Giorgio Agamben, Che cos’è la filosofia?, Quodlibet, Macerata 2017, euro 13,60
Dice Giorgio Agamben nel suo Che cos’è la filosofia? (Quodlibet, 2016) che «Non vi è mai stata alcuna comunità o società o gruppo che abbia deciso di rinunciare puramente e semplicemente al linguaggio». Perché gli uomini continuano a usare il linguaggio? C’è un «legame inscindibile» fra l’umanità e la parola. «Eppure gli uomini non saprebbero dire che cosa sia per essi in questione nel linguaggio come tale, nel puro fatto che essi parlino». L’incomprernsibile e l’indicibile sono due categorie che appartengono al linguaggio umano. Il linguaggio stabilisce una particolare realzione con l’essere (di cui parla). Dice Agamben: «Qualsiasi cosa nominiamo e concepiamo, per il solo fatto di essere nominata è già in qualche modo pre-supposta al linguaggio e alla conoscenza. È questa l’intenzionalità fondamentale della parola umana, che è già sempre in relazione con qualcosa che presuppopne come irrelato». L’essere viene prima della parola. «L’essere non è presupposto perché esso è sempre già dato all’uomo in una sorta di intuizione prelinguistica; piuttosto è il linguaggio che è articolato – cioè scisso – in modo tale da aver sempre già incontrato e presupposto nel nome l’essere che gli è dato». La filosofia (il che cos’è? Che dà il titolo al libro) diventa possibile solo perché essa «riposa su questa scissione fondamentale del linguaggio; l’essere è sempre già diviso in essenza ed esistenza; quid est e quodo est, potenza e atto: la differenza ontologica si fonda innanzitutto sulla possibilità di distinguere un piano della lingua e dei nomi, che non si dice in un discorso e un piano del discorso, che si dice sulla presupposizione di quello». La filosofia esiste; il discorso della filosofia (o sulla filosofia) ne costituisce, di essa, l’essenza. Che cos’è la filosofia? È qualcosa che esiste.
Ma la lingua deve «togliersi» per donare l’«essere» alla cosa che nomina. E la filosofia si esprime, sempre, nel linguaggio. Dunque nella definizione primigenia della filosofia c’è un annullamento, un azzeramento, un nichilistico «buco» di parole e valori? «Il linguaggio… non può che sparire nella cosa che nomina». Ora, afferma ancora Agamben: «Prorpio perché l’essere si dà nel linguaggio, ma il linguaggio resta non detto in ciò che dice, e manifesta, l’essere si destina e si svela per i parlanti in una storia epocale». L’essere si svela storicamente e la filosofia diventa – da macanza ed esistenza – ricostruzione storica di un’epoca. Ora «poesia e filosofia rappresentano piuttosto due tensioni inseparabili e irriducibili all’interno dell’unico campo del linguaggio umano e, in questo senso, finchè ci sarà linguaggio, ci saranno poesia e pensiero. La loro dualità testimonia, infatti, ancora una volta della scissione che, secondo la nostra ipotesi, si è prodotta nella voce, al momento dell’antropogenesi, fra ciò che restava del linguaggio animale e la lingua che si andava costruendo in suo luogo come organo del sapere e della conoscenza». Le differenze tra suono e senso sono «appagate» dalla filosofia in un «puro senso». Ora, «se non vi fosse esigenza, ma solo necessità, non potrebbe esservi filosofia». La filosofia, dunque (nel suo Che cos’è?) si trova di fronte, nella sua definizione, ad esistenza, mancanza, dare senso ed esigenza.
Il tratto, secondo il quale Agamben sta tratteggiando il suo agromento, si sta qui chiarificando. Infatti: l’esigenza «è l’elemento della filosofia». «L’esistenza… non è un quid, un qualcosa di altro rispetto all’essenza o alla possibilità, è solo un’esigenza contenuta nell’essenza». La mancanza è l’esigenza del pieno; il «dare senso» è l’esigenza dell’insensato… Dice Agamben: «e che cos’è il pensiero se non la capacità di restituire possibilità alla realtà, di smentire le false pretese dell’opinione e fondarsi soltanto sui fatti? Pensare significa innanzitutto percepire l’esigenza di ciò che è reale di ridiventare possibile, rendere giustizia non soltanto alle cose, ma anche alle loro lacrime». Questa «esigenza» della filosofia sono, dunque, le «lacrime» delle cose!
Secondo Spinoza: «L’essere non è semplicemente, ma esige di essere». Poi, proseguendo: «non l’indicibile, ma il dicibile costituisce il problema con cui la filosofia deve ogni volta tornare a misurarsi». L’esigenza del dicibile è costituita dalle «lacrime» della filosofia. Il reale diventa possibile. Come quando piove, un pomeriggio, e poi – il reale che diventa possibile – piove anche il giorno dopo… Il «dicibile» è una categoria ontologica. «Il dicibile non può mai darsi, come l’indicibile, prima o dopo il linguaggio: scaturisce insieme ad esso e resta, tuttavia, irriducibile ad esso». Ma cosa «dice» la filosofia? Diogene Laerzio afferma: «Dire… e proferire… sono diversi: si proferiscono le parole, si dicono le cose… le quali si dà il caso che sono dicibili». La filosofia «dice» le cose, la realtà, gli oggetti concreti e «piange» a causa di questo dire. Perché piange? Aristotele dice: «Ciò che è nella parola … è segno delle impressioni nell’anima e ciò che è scritto è segno di ciò che è nella parola». Le «impressioni» nell’anima del soggetto (che sta filosofando) producono di fronte alle cose, le lacrime. Perché? Perché tutto passa, tutto è transeunte; niente è mai lo stesso.
Che cos’è la filosofia; dunque? «Ogni parola umana è proemio… o discorso…, persuasione o comando, e può essere opportuno, parlando, mescolare i due elementi o tenerli distinti». Ora, «Se il linguaggio umano consta di due elementi diversi, a quale di essi apparterrà il discorso filosofico?». Agamben risponde: «La parola filosofica è essenzialmente e costitutivamente proemiale». Ma proemio di che? La filosofia è preparazione a un discorso vero. In quest’ansia di attesa sta la sua definizione.