L’abito di Eco
Come si vestiva Umberto Eco? Che tipo di «abito» prediligeva?
«Continuo a pensare che, all’interno dei confini di una certa lingua, ci sia un senso letterale delle voci lessicali, che è quello elencato al primo posto dai dizionari, ovvero quello che ogni uomo della strada definirebbe per primo quando gli venga chiesto che cosa significa una data parola (…) Nessuna teoria della ricezione potrebbe evitare questa restrizione preliminare. Qualsiasi atto di libertà da parte del lettore può venire dopo e non prima dell’applicazione di questa restrizione». Così scrive il semiologo di Alessandria nel suo I limiti dell’interpretazione (La Nave di Teseo, 2016).
Nel «senso letterale» se Umberto Eco è in giacca e cravatta non posso dire che sia in impermeabile. Il suo «abito» è scuro e io non posso dire che sia grigio-chiaro. Ma andiamo ancora avanti. In questo saggio Eco discute il «concetto di interpretazione ispirato da Peirce». Ci sono dei processi interpretativi che ci portano a distinguere un essere umano da una mucca: in questi casi i «limiti» dell’interpretazione sono importanti. Se vedo Eco vestito di scuro i limiti della mia interpretazione mi portano certamente a un senso letterale che consiste nel fatto che in quel momento Eco non è vestito di chiaro. Ci sono insomma delle interpretazioni (rispetto a un testo, qualsiasi cosa esso sia) che sono «inaccettabili».
La semiotica si occupa della semiosi: la semiosi (seguendo Peirce) è quell’azione che coinvolge tre soggetti che sono cooperativi tra loro. Un segno, il suo oggetto e il suo interpretante. Questa influenza non è risolvibile semplicemente in un rapporto tra coppie. Eco sostiene «che ci sia semiosi e dunque interpretazione nei processi percettivi». «In tale senso l’interpretazione – fondata sulla congettura o sull’abduzione (…) – è il meccanismo sensoriale che spiega non solo il nostro rapporto con messaggi elaborati intenzionalmente da altri esseri umani, ma ogni forma di interazione dell’uomo (e forse degli animali) con il mondo circostante. E’ attraverso processi di interpretazione che noi cognitivamente costruiamo mondi, attuali e possibili». Ma chiaramente, come è stato detto: il primo «livello» del messaggio è quello letterale. Su tale «livello» si gioca il dibattito sulla natura della semiosi. Insomma rispetto a un testo (qualsiasi cosa esso sia: oggetto mentale, oggetto naturale o oggetto sociale) «è impossibile (…) fargli dire ciò che non dice». Se il gatto è sul tappeto esso non può essere in poltrona. Parlare dei limiti dell’interpretazione significa «appellarsi (…) a una misura». A un «parametro». Insomma «è impossibile dire quale sia la migliore interpretazione di un testo, ma è possibile dire quali sono sbagliate».
La semiotica ha tre «province» (che altrove Eco definisce «dimensioni»): la pragmatica, la sintattica e la semantica. Secondo Charles Morris la pragmatica è «la scienza del rapporto dei segni con i loro interpreti». Invece «La semiotica si occupa di oggetti ordinari in quanto e solo in quanto partecipi della semiosi». Semantica, sintattica e pragmatica trattano dello stesso oggetto. E questo «oggetto» è il processo di semiosi. La semiosi, e dunque l’interpretazione (rapporto a tre fra interpretante, segno e oggetto) è dunque non avulsa dalla considerazione di un senso letterale (inteso come parametro o misura) ovvero di un limite dell’interpretazione oltre il quale la vis interpretativa non può andare. La semiosi non è illimitata dunque. Nel processo di semiosi non vi è un soggetto cosciente o interprete: l’interpretante può essere qualsiasi cosa. Eco afferma risolutamente: «basta che si possa dire che c’è almeno una lettura inaccettabile, e nasce il problema di quale sia il parametro che si permette di discernere fra letture diverse».
Insomma: «C’è un senso dei testi, oppure ce ne sono molti, ma non si può dire che non ce n’è nessuno, o che tutti sono egualmente buoni».
Ma cosa c’entra l’abito di Eco? Semplice. Intanto «La semiosi è virtualmente illimitata ma i nostri scopi cognitivi organizzano, incorniciano e riducono questa serie indeterminata e infinita di possibilità». In un dato universo di discorso noi isoliamo solo ciò che è rilevante. Dunque «Al di fuori dell’interpretante immediato, emotivo, energetico, e logico – tutti interni al processo della semiosi – c’è l’interpretante logico finale, l’Abito.
Il formarsi dell’Abito in quanto disposizione ad agire, arresta (almeno transitoriamente) il processo senza fine dell’interpretazione». Questi sono i limiti dell’interpretazione. L’abito si trova «al di fuori della catena semiosica in processo». Nella realtà!
Infine «Il riconoscimento di un abito come legge richiede qualcosa di molto vicino a un’istanza trascendentale, vale a dire una comunità quale garante intersoggettivo di una nozione di verità non intuitiva, non ingenuamente realistica, quanto invece congetturale (…) C’è una perfezione autentica della conoscenza secondo la quale “la realtà è costituita” e questa perfezione o perfettibilità deve appartenere a una comunità». Cioè esistono tre livelli: abito-realtà-comunità. Ed esiste un superiore livello che è il limite dell’interpretazione. Tutto questo deve essere fatto brillare con sintassi, semantica e pragmatica che si riferiscono sempre alla semiosi che costituisce la semiotica.
E ancora infine: c’è un interpretazione semantica (o semiosica) e un interpretazione critica (o semiotica). Cioè ogni testo «prevede» un lettore modello: cioè significa che il testo prevede un lettore modello ingenuo (o semantico) e un lettore modello critico. Il lettore attua l’interpretazione e da il via al processo semiosico. Ma c’è sempre l’abito.
La realtà (che è lontanissima dall’interpretazione) stabilisce, nella comunità dei riceventi del messaggio, una interpretazione nel senso letterale del termine e questa interpretazione costituisce la disposizione ad agire (nei confronti del testo) in un certo modo. Ma cos’è questa realtà? Eco conclude il suo saggio affermando: che la semiosi ermetica «Non asserisce l’assenza di un significato universale univoco e trascendentale. Essa assume che qualsivoglia cosa – ammesso che venga isolato il nesso retorico giusto – può rimandare a qualsiasi altra cosa, proprio perché c’è un soggetto trascendente forte, l’Uno neoplatonico. Esso, essendo il principio della contraddizione universale, il luogo della Coincidentia Oppositorum estraneo a ogni possibile determinazione, e dunque contemporaneamente tutto, nulla e Fonte Indicibile di Ogni Cosa, fa si che ogni cosa si connetta a ogni altra grazie a una ragnatela labirintica di mutui riferimenti».
L’abito di Eco una disposizione ad agire in riferimento al testo (come è vestito Umberto Eco?). Io agisco in un certo modo (sanzionato e attestato dalla comunità dei parlanti): Eco è vestito di scuro. Questa è la realtà!