Onore a Gianni de Michelis
Altro che “moaveri” riportini craniali, con sguardi ferocemente dentati, dopo una giovinezza sciocca passata con il Movimento Studentesco del Sor Capanna. Se ci pensate un attimo, la qualità dei dirigenti politici attuali si misura con la scelta dei gruppetti dove militavano da studenti. L’attuale ministro degli Esteri e Paolo Gentiloni erano, appunto, con il Sor Capanna. Sono già giudicati. Poi ci fu un maestro di sci che andava alla Farnesina solo a pranzo, per poi litigare con il Segretario Generale, l’unico che ci capisse qualcosa. E questo ministro, forzitaliota in quota belle fighe, era stato nel “Manifesto”. Come altri belloni ben più compagni che però si facevano sostenere dalle contesse… Poi, prima ancora, ci fu anche Giuliano Amato, già psiuppino e poi transitato nel ruolo di sostenitore, a pagamento, di alcuni nostri alleati. Meglio di niente. Dio non ci ha risparmiato nemmeno un esoftalmo avvocaticchio siciliano, che di Esteri non sapeva assolutamente niente. Magari credeva che si trattasse di catanesi al nord.
Insomma, pulitevi la bocca, cialtroni che non siete altro, quando parlate di Gianni De Michelis.
Facile fare le vignette con i nani e le ballerine. Solo che, sul piano tecnico, ci volevano battaglioni di nani attuali, disegnatori o meno, per fare un’unghia di Gianni. De Michelis era certo, come dicono gli americani, larger than life. La riunione del 1985 a Tunisi, tra tutti i ministri del Lavoro dell’OCSE, gli fece prevedere che le migrazioni sarebbero state il problema del futuro. Poi, l’accordo di San Valentino sulla scala mobile, da ministro del lavoro, con l’abolizione del meccanismo, proposto proprio dal povero Tarantelli, che operava in automatico sulla rideterminazione dei punti di scala mobile per abbattere l’inflazione. Non bastava. Macché, De Michelis ministro propose il blocco dei prezzi e delle tariffe, poi anche il blocco dell’equo canone per due mesi e la restituzione del fiscal drag (il prelievo nominale crescente dovuto all’aumento dei prezzi). La CGIL era contraria e perse. Fu l’inizio della fine, per l’inflazione di quegli anni. La Confindustria – che non ci capì nulla – decise subito la disdetta della scala mobile. Ma l’accordo tenne e fu una manna per il Paese.
Mi piace poi ricordare (perché anche quella fu un’idea lucida e precorritrice, e ci ebbi una piccolissima parte pure io) la Pentagonale. De Michelis sapeva che la fine dell’Est sovietico era vicina e inevitabile. Come è inevitabile la caduta di Mahagonny secondo Brecht. Invece di schierare cantanti sul Muro di Berlino, Gianni capì che la questione era, per l’Italia, di creare una propria area di collaborazione economica e politica, nel disastro dei Balcani e nel vuoto, futuro e pericolosissimo, dell’Est europeo, che sarebbe stato pieno di esosi tedeschi, britannici sciocchini e furbi contrabbandieri macedoni, per dirla con Battiato. De Michelis, per sostituire il duopolio franco-tedesco (che allora aveva poco fiato), si inventò un rapporto atlantico fortissimo, con gli USA (ma anche con i britannici, che lo amavano), che aveva l’occhio sempre puntato sul nostro Est: la terra futura di conquista geo-economica, se non avessimo avuto troppi riportini, in seguito. Arrivò quindi l’idea della Pentagonale. C’era l’Austria, la Cecoslovacchia, l’Italia, ovviamente, la Jugoslavia, l’Ungheria. In un battello sul Danubio, i cinque si daranno una proposta sulla sicurezza comune, una carta dei diritti delle minoranze, una cooperazione sui trasporti, il nucleare, l’ambiente. Si, il nucleare, e allora? Sarebbe l’unica energia davvero pulita, ma il cretinismo post-Cernobyl ce la proibisce, con la massima goduria degli arabi e dei loro alleati occidentali.
Gli è rimasto inesaudito l’unico sogno che, in fondo, voleva davvero, essere sindaco di Venezia. Certo, ora altro che nani e ballerine: analfabeti, scemi e presuntuosi.