Roberto Esposito, Politica e negazione, Einaudi, Torino 2018.
Roberto Esposito nel volume Politica e negazione. Per una filosofia affermativa (Einaudi, 2018) mette in atto «una riflessione di respiro sul rapporto tra politica e negazione». Per far ciò utilizza un’analisi serrata con autori quali Carl Schmitt, Friedrich Nietzsche, Thomas Hobbes, Sigmund Freud, Ferdinand de Saussure, Georg Jean-Jacques Rousseau, Alexandre Kojève, Whilelm Freidrich Hegel, Martin Heidegger, Gilles Deleuze e Micheal Foucault. Intanto tra «politica» e «negazione» esiste una sorta di «relazione». La negazione è il distruttivo, l’opposizione, il non, il no, la determinazione non affermativa, la contrapposizione, la contraddizione. Ma cos’è questo «non»? «La nostra mortalità è la massima negatività» dice ancora Esposito. E così il dolore, l’angoscia, la sofferenza, la paura, il rimorso, il rimpianto, il terrore davanti a qualcosa di ignoto, lo spavento, il male. Il niente, il nulla, il non-esistente, il vuoto, la mancanza, l’assenza: sono tutte figure della negazione. Ma cos’è la politica? E perché la politica è legata così strettamente alla sua negazione? Che non è l’antipolitica (la quale rimane pur sempre nello spettro della politica) ma è l’impolitica – quella sulla quale Thomas Mann ha imbastito un suo famoso saggio. E perché la politica è legata, in quanto categoria, alla categoria della negazione? Oggi si assiste a «un ritorno in forze del negativo». La globalizzazione, che doveva livellare tempo e spazio ha viso il proliferare di tempi e spazi locali che hanno fagocitato gli esseri umani portandoli a dover fare i conti con «un’immanenza tanto piena di sé da andare in pezzi». Il «negativo» è oggi diventato «la configurazione stessa del mondo contemporaneo». Al-qaeda, terrorismo internazionale, disastri ambientali, epidemie e pandemie, violenza privata e domestica, volenza di alcune politiche contro gli immigrati e gli stranieri, Isis, leggi in favore di una legittima difesa che calpesta la dignità umana, eserciti di giovani disoccupati… Il male, il negativo, l’assenza di «tesi affermative». «Il fenomeno del terrorismo jihadista è il controeffetto della rimozione della negazione che è divenuta assoluta». In fondo anche il capitalismo globale, unico sistema economico del Pianeta, è una tesi che non ammette una sua negazione. Ma una tale tesi diventa, essa stessa, la sua propria negazione: perché il benessere che doveva arrivare per gli esseri umani è diventato condizione di mancanza, di privazione, di sofferenza e quindi di «negazione» per la maggior parte degli abitanti del Pianeta – escluso quell’ 1% di privilegiati che detengono la maggior parte delle ricchezze. Vediamo meglio la natura della «relazione» tra politica e negazione. Dice Esposito: «Il nucleo metafisico di questa relazione è il carattere politico della negazione e la declinazione negativa del politico». Esiste, dice ancora Esposito, una sorta di «macchina metafisica» che rende la forma del politico una negazione e il contenuto della negazione il politico stesso. C’è un rapporto duale, bipolare, ambivalente, duplice. Per venire ai temi cari al dibattito politico attuale: è chiaro che la categoria di «sovranità» (da cui i sovranismi attuali traggono fonte) richiede la negazione del conflitto. Non c’è sovranità che in un mondo (un territorio) ordinato che possa essere reso disciplinato e mantenuto nel suo ordine. L’abrogazione del conflitto (interno ed esterno) non produce però la pace ma una sorta di uniformità che non ammette deroghe: un’altra negazione: in quanto non solo il sovranismo nasce da una negazione ma il territorio soggetto alla sovranità, non avendo una antitesi alla quale appellarsi, risulta esso stesso del tutto affermativo e quindi, per quanto abbiamo visto con la globalizzazione, del tutto negativo, producendo esso nuovi conflitti, nuove disarmonie, nuove semplificazioni concettuali. E la categoria di popolo (da cui tutti i populismi attuali)? Essa si costituisce dal confronto del tutto «negativo» con le categorie di plebe, di moltitudine e di folla. Ma a quale popolo fanno riferimento i populisti? Un’unità indifferenziata che contiene al centro di sé tutto (anche quelle élite che i populismi intendono stigmatizzare) e il contrario di tutto: la negazione della democrazia intesa come governo del demos. E arriviamo alla soluzione proposta da Esposito. «L’unico modo di sottrarsi al negativo è quello di separarlo da sé stesso». Ovvero di «Disarticolare il nesso tra politica e negazione che restituisca alla politica la sua potenza affermativa e alla negazione il suo carattere logico di determinazione e ontologico di limite». Per vivere il negativo in termini positivi – per vivere l’antitesi come se fosse una tesi – occorre che l’esperienza umana faccia suo il limite come connotato della negazione. Seguendo Heiddeger, e schematizzando un po’, possiamo riferirci a un principio di delucidazione che vede due macchina metapolitiche, una figura, due tempi, un punto di intersezione e una caratterizzazione spaziale. Le due macchine metapolitiche (e l’indagine metapolitica è quella seguita da Esposito in questo libro – intendendo con metapolitica «i presupposti generali che presiedono alle teorie politiche») sono rispettivamente la macchinazione e la distruzione. «Macchinazione è il dispiegamento planetario della tecnica». La distruzione si oppone alla macchinazione in una figura che è quella eraclitea della lotta. Nella lotta fanno capo un’affermazione e la sua negazione che sono i due tempi nei quali si divide la lotta. Il punto di intersezione fra un’affermazione e la negazione è il «non» mentre la «distanza» (tra positivo e negativo) costituisce la configurazione spaziale di cui si diceva. Il problema è tutto in quel «non» che è il «limite» della tesi affermativa. Insomma per Esposito ci vuole un medesimo «ambito di pertinenza», «diagramma», «dispositivo» – Esposito lo chiama in tutti questi modi. E questo «ambito di pertinenza» è «necessario» perché la negazione possa negare qualcosa che appartiene all’affermazione. In termini metapolitici: «Si tratta di affermare lo stesso negativo, strappato alla sua semantica difensiva e ricondotto alla funzione di limite interno attraverso il quale la comunità si differenzia da sé stessa». Il primo dei due tempi è l’affermazione (positiva) poi c’è una certa distanza e quindi arriva la negazione (negativa) ma rimane identica la lotta.