Se il salvinismo incontra le diseguaglianze
C’è un libro che mi ha fatto venire in mente una sottigliezza che adesso vi racconto. Il libro è Breve storia della disuguaglianza (traduzione di Diego Ferrante, Laterza, Roma-Bari,2019) di Michele Alacevich e Anna Soci.
Mi sono detto che la relazione biunivoca tra disuguaglianza e democrazia è più importante del rapporto fra disuguaglianza e globalizzazione. In fondo noi cittadini siamo quello che vuole per noi la nostra democrazia.
Non essere una democrazia vuole dire essere un’autarchia o, come si direbbe oggi, un’oligarchia o meglio ancora una plutocrazia. Il regno delle elites e dei soldi!
Quello che ci interessa è tutelare la nostra democrazia (che non si esaurisce solo nel momento in cui siamo chiamati a esprimere la nostra preferenza elettorale) che viene minacciata attualmente dal fenomeno delle disuguaglianze. Se è vero che la crescita economica di un paese non è condizione sufficiente per stabilire l’ammontare delle diseguaglianze è altresì vero che però la stessa crescita è condizione necessaria. E se è vero che forse il PIL non ci convince pienamente come indice del benessere generale è altresì vero che una società in crescita non risolve automaticamente il problema delle diseguaglianze. Che non è – giova dirlo a chiare lettere – il problema della povertà. Si è disuguali su molti punti e in tante cose.
Ma se si prende in considerazione solo la disuguaglianza economica ci si accorge che una società formata da forti sperequazioni non è propriamente una società democratica. E che una democrazia basata sulla diseguaglianza (fra gruppi o singole persone) non è certamente egualitaria. E l’eguaglianza politica è quella garantita dalla democrazia.
Nella nostra Carta Costituzionale si legge (all’articolo 3): «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Questa eguaglianza è prevista «davanti alla legge» non dal punto di vista economico. Tuttavia, se sussiste e persiste una disuguaglianza economica viene meno il secondo punto della questione e cioè quel «senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Specialmente il punto in questione sono le «condizioni personali e sociali». Insomma in presenza di una disuguaglianza economica le nostre «condizioni» non sono le stesse e viene meno la sfera della «politica» che è quella che deve fare le leggi. In presenza di una forte diseguaglianza economica la politica insomma arretra. E quando esiste un vuoto di politica esso viene riempito da quelli che stanno bene (i beneficiari della diseguaglianza), dai ricchi, dai plutocrati, dalle élites del potere finanziario.
Il cittadino «disuguale» (e che viene trattato in maniera «disuguale») dal punto di vista economico (salari, redditi e stipendi) è certamente (e vive in) una «condizione» di svantaggio, di alienazione, di indietreggiamento rispetto al cittadino che sta bene.
La politica democratica dovrebbe attuare dei meccanismi (in questo caso) di duplice trattamento per il «diseguale» e per l’«uguale». Ma una politica democratica è, di necessità, livellatrice nel senso che essa, per essere davvero democratica, deve trattare il «popolo» (il demos) allo stesso modo dal punto di vista delle scelte che coinvolgono l’ampia maggioranza del Paese.
Chiaramente le politiche fiscali possono essere progressive ma quello che, in generale, rimane evidente è che una democrazia non può mettere in campo due pesi e due misure nelle sue scelte programmatiche e di governo. Sarebbe come se il «popolo» (cui in Italia appartiene la «sovranità») fosse in realtà formato da due «popoli» rispetto ai quali non si capirebbe bene a chi apparterrebbe la sovranità. Una «sovranità» scissa, dunque. Una «sovranità» (che vuol dire potere politico su un territorio) a cui gli stessi «sovranisti» (e i populisti che affermano di fare sempre quello che vuole il «popolo») non potrebbero più appellarsi. Che ne sarebbe dunque del “salvinismo”?
Adesso vediamo quindi con più chiarezza come il problema del rapporto democrazia-diseguaglianze coinvolge anche i temi più stringenti della politica attuale: quali la presenza di partiti sovranisti e populisti all’interno del panorama attuale. Qual è il rapporto fra democrazia e diseguaglianze? È il rapporto che esiste fra la politica e l’economia. L’economia deve essere succube e schiava della politica? Nel mondo attuale dei flussi incontrollati di capitali, beni e merci assistiamo a un’economia che sta divorziando sempre più dalla politica e che detta legge in molte parti del Mondo. E quindi la diseguaglianza economica difficilmente può essere gestita da compiute scelte politiche. Specialmente a livello di Stati nazionali che, per loro natura, rimangono locali mentre l’economia si manifesta in spazi globali.
A questo punto la diseguaglianza economica, non gestibile più dalla politica (e quindi dalla democrazia) diventerebbe un dato di fatto ineludibile e non negoziabile. La democrazia stessa si dovrebbe basare sulla diseguaglianza economica. Se è stato sempre detto che una certa quota di disuguaglianza è inevitabile in una democrazia è stato del pari detto che una forte diseguaglianza economica favorisce le disparità di trattamento, le variazioni di pesi e misure, le diverse «biografie» e narrazioni che si comporterebbero, adesso, in termini del tutto ineguali.
In sostanza: cercare di attenuare la diseguaglianza economica farebbe molto bene alla nostra democrazia. Che poi siamo noi. Il fatto che due persone (magari con le stesse capacità) percepiscano dei guadagni immensamente diseguali fa stare male anche me – che magari fra i due sono quello che percepisce un salario maggiore. Il fatto di appianare le disuguaglianze economiche, in soldoni, fa bene non solo al disuguale ma anche all’uguale – che nella diseguaglianza, guadagnava di più.