15 Novembre 2024
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Ermanno Bencivenga, La scomparsa del pensiero, Feltrinelli, Milano 2017

Ermanno Bencivenga parte dalla considerazione della società attuale. In questo suo La scomparsa del pensiero. Perché non possiamo rinunciare a ragionare con la nostra testa (Feltrinelli, Milano, 2017) il filosofo calabrese ci informa delle condizioni in cui versa oggi il nostro Pianeta.

«Ogni speranza di salvare l’ambiente… o di produrre cibo a sufficienza o trovare una via d’uscita dei dissidi e conflitti che ci perseguitano riposa sulla nostra capacità di ragionare: di tacitare emozioni e impulsi e fare spazio per idee, proposte e teorie, e per una discussione ordinata che le analizzi e ne determini il valore, aprendo nuove strade alla nostra convivenza».

 

Dopo tanto ciarlare di dare sfogo libero alle nostre emozioni, di manifestare i nostri sentimenti, di ascoltare solo le ragioni del cuore (da parte di psicologi, psichiatri e tuttologi di salotti televisivi) Bencivenga, come rimedio ai mali che ci affliggono, propone la direzione opposta. C’è una crisi della ragione, c’è un forte discredito del ragionamento, c’è una perdita delle capacità logiche… Altro che sentimenti! «Ma tale capacità oggi è a rischio: incombe la minaccia che sia spazzata via e con essa si dissolva la specificità degli esseri umani, quel che li ha resi gli organismi meglio adattati presenti sulla Terra sebbene non siano né più forti né più longevi né più agili né più veloci di molti dei loro concorrenti».

 

Ma non è solo questo.

L’uomo è un animale razionale; o, meglio, come scrive lo stesso Bencivenga una «Sostanza materiale animata semovente (animale) razionale»: dunque egli, nella congiuntura attuale, sta per perdere la sua propria definizione. L’uomo non è un animale che sente, che prova emozioni: tutti gli animali che popolano il mondo sono guidati dall’impulso. E cosa si rischia se si va a perdere la propria stessa definizione? Che si diventa estranei a sé stessi. Che non si è più capaci di trovare un punto di partenza. Che il terreno diventa molle sotto i propri piedi.

Ma, ancora una volta, non è solo questo!

Infatti oggi ci sono i computer. Bencivenga scrive: «Qualcun altro, qualcos’altro, ragionerà per noi; non ci rimane che accettare tanta benevola assistenza ed evitare fatiche ormai rivelatesi inutili». Nel nostro panorama globale c’è un certo «Frastuono» e c’è una certa «Fretta» è c’è una ragione che si ritrae, che diventa più piccola, che si fa così piccola da svanire quasi. Il logos di fronte a tutto questo diventa adesso un problema. Un problema aperto. L’uomo è «animale razionale» e di questa definizione la parte che è in pericolo è quella che riguarda il «Razionale» e non l’«Animale».

Ma cos’è la logica? «La logica non è materia o strumento del pensiero; è la sua sostanza; pensare è ragionare, cioè fare logica, e studiare il pensiero è studiare logica». Sono davvero passati i tempi in cui i Pooh cantavano «Non restare chiuso qui, pensiero»: adesso il pensiero (cioè la logica) non solo si chiude su sé stesso ma sembra voler emigrare su altre strade e altre sponde ovvero su nessuna strada e nessuna sponda. Sembra che il pensiero non trovi più uno spazio nel quale esplicitarsi e neppure dei tempi attraverso i quali svilupparsi. «Oggi la noia e il suo vuoto sembrano non esistere più: le orecchie sono invase da musica in cuffia, gli occhi da dozzine di finestre su uno schermo; se un collegamento non “funziona” all’istante c’è qualcosa che non va, abbiamo bisogno di più campo, di più giga, di una banda più larga. Abbiamo fretta, non si sa bene di arrivare dove, e siamo costantemente circondati da un gran fracasso: e nella fretta e nel fracasso il logos viene irrimediabilmente sommerso da arnesi più brutali, più semplici».

Fretta, fracasso, invasione dei computer (ai quali deleghiamo volontariamente il ragionamento): tutto ciò ci conduce in un mondo privo di attimi di contemplazione, di teoresi, di sperimentazione con se stessi delle proprie capacità interiori. Un mondo chiuso all’interno dell’Universo aperto della globalizzazione. Bencivenga afferma: «Io noto oggi che i nostri mezzi di informazione e di comunicazione sono diventati troppo veloci e potenti (e, aggiungerei, importuni) per consentire la sopravvivenza di modalità informative e comunicative sviluppate in ere di lentezza e silenzio». Il logos oggi è a rischio. La logica si sta ammutolendo. La ragione sembra incapace di capire la realtà. Il pensiero non è più in grado di pensare neanche sé stesso.

 

Bencivenga si chiede ancora: «Quale sarà il nostro destino se il frastuono e la fretta impediranno alle passioni affini al logos di manifestarsi e farsi ascoltare, se il timido piacere di provare una conclusione o confutare una conclusione altrui sarà soffocato da catarsi più esplosive e godimenti più vigorosi?».

Il nostro filosofo però non si ferma a questo: egli analizza non solo il panorama attuale, quale è il destino della ragione e anche quale può essere la cura per sanare questo stato di cose. Il pensiero ha bisogno di calma, silenzio e lentezza. «La logica è veicolo di democrazia perché permette a ciascuno di noi, ragionando per conto suo, di decidere che cosa gli va in ogni modello che gli viene proposto, e di raccogliere insieme quel che gli va formulando modelli che giudica più vantaggiosi e più degni, e che forse si darà da fare per realizzare; senza la logica, senza la capacità di pensiero e ragionamento, di analisi e di combinazione che essa ci offre, c’è solo da sperare nella buona sorte – che i modelli dati cui ci uniformiamo somiglino più a Gandhi e Martin Luther King che a Benito Mussolini o Donald Trump». Il pensiero va dunque in vacanza. Va a farsi benedire. Va a farsi friggere. A causa dell’avvento delle nuove tecnologie, del frastuono di quel grande mercato globale che è diventato il Pianeta e della fretta che è la condizione di vita all’interno del flusso delle reti.

Non c’è più bisogno del pensiero: c’è qualcuno che sta pensando per noi!

 

Siamo dunque nel territorio più propizio per il trionfo delle emozioni, delle passioni, dell’istinto, della ebbrezza cieca propria del dionisiaco nietzschiano. Ma questa è anche un’arida terra (la lichtung heideggeriana) nella quale si arretra, si regredisce, si torna sui propri passi. Ci si trova così, alla fine, in uno stato infantile. Si torna bambini. Finisce il concetto di emancipazione: non c’è miglioramento. C’è progresso ma questo progresso non è per il meglio. Il nuovo che nasce adesso può essere anche cattivo (non solo moralmente). La storia perde la bussola. È un mondo disorientato. Un mondo nel quale gli esseri umani girano a vuoto. Come trottole non lanciate da alcuna persona. Si gira, si gira, si gira e qualche volta si cade. Ma non c’è senso, non c’è significato, non c’è una direzione. Conta solo l’ottundimento. È un mondo percosso e colpito in fronte. Anestetizzato e narcotizzato. Un mondo di sonnambuli che dormono. Piccoli uomini e piccole donne dentro una scatola nella quale non hanno un posto definito e assegnato.

 

Cos’è un uomo senza un posto che sia adatto per lui?

È un estraneo, uno straniero, un escluso. Bencivenga traccia i tratti di un mondo di esclusi nel quale a escludere è la «Scomparsa del pensiero». Ma cosa scompare con il pensiero? Il nostro posto nel mondo. E che posto è quello che scompare? Non è solo tempo e spazio: è anche la nostra identità. Bencivenga disegna i tratti di un mondo privo di faccia, privo di rilievo, privo di storia. E’ l’uomo stesso a perdere la sua faccia. Scompare quello che Levinas chiamava il «Volto» e se scompare il «Volto» scompare anche la biografia di una persona. E scompare anche la possibilità di comunicare con quella persona. E scompare anche l’Altro (nascosto e velato dal suo «Volto»).

È davvero paradossale che nel mondo della comunicazione sparisca la capacità di comunicare. Siamo in un mondo afono, imperturbabile, per certi versi: indecifrabile. Quando non c’è più comunicazione non c’è modo di sapere niente dell’Altro. Quindi questo Altro è una X che, alla fine, si manifesta solo nella sua natura impossibile a decifrarsi. Esiste questa X ma non ci si può comunicare: ciò dimostra l’ineluttabilità, la pesantezza, la gravosità di un compito che, a questo punto, ha dell’irreparabile. Infatti irreparabile, in un modo privo di comunicazione, è che scomparendo il pensiero ogni cosa si manifesti per quello che è e per quello che non è.

«E’ una medesima circostanza – la circostanza che ci vengono comunicati troppi dati – a generare da un lato il rumore e la precipitazione che ostacolano il pensiero e dall’altro l’impressione che il pensiero sia un arzigogolo ridondante». Quale può essere il rimedio? «Se è la logica che ci sta venendo a mancare, e se tale mancanza è dovuta, da un lato, al diradarsi del bisogno che ci aveva educato al ragionamento e, dall’altro, al disinteresse per i suoi vantaggi e meriti indotto dalla tecnologia e favorito da sordidi interessi politici, la ricetta per ritrovare quel che abbiamo perso sembrerebbe scontata: occorre affiancare alla fretta e al frastuono dei mille dispositivi elettronici contemporanei e alla pigrizia causata dall’esternalizzazione della funzione logica e vista di buon occhio dai padroni del vapore una nuova forma di educazione».

Quella stessa logica che in passato «ci era trasmessa in modo automatico dalle nostre abitudini quotidiane» deve esser oggi insegnata in maniera sistematica. Bisogna riabituare il pensiero al pensiero. Occorre tornare a dare dignità al pensiero. Ma quale logica? Occorre «Insegnare la logica che ha corso nella nostra vita e nel nostro linguaggio, non quella che dimora altrove». Un pensiero che si (ri)appropria del pensiero trova una sede entro cui stare: torna a casa, arriva in un posto dove era già stato. C’è come un senso di tradizione, di appartenenza, di unità organica…

 

Bencivenga afferma ancora: «L’astrazione e la ricombinazione degli elementi astratti operata dal logos è lo strumento più idoneo per modificare, si spera in meglio, le nostre condizioni di vita». Una volta preso atto della fine della comunicazione interumana il nostro filosofo ci informa adesso della necessità di un ritorno al pensiero. All’astrazione. Alla logica. Dal punto di vista logico, nel frastuono e nella fretta, si può trovare una risposta a tutti gli interrogativi che attraversano il nostro stesso stare al mondo solo con metodo e formalismi. «Proprio le macchine logiche cui abbiamo esternalizzato il ragionamento impediscono di avvertirne il bisogno». Il computer ha ucciso la logica. In fondo «è la pratica del ragionamento che ci sta venendo a mancare».

Siamo in un mondo globalizzato e connesso in cui «Le esperienze di tutti sono accessibili a ciascuno» . Chi ritroverà la logica? Chi ritroverà la bussola? Che cosa penserà il pensiero non appena avrà (ri)pensato di essere un pensiero?

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.