Dacci ora il Conte 2
Il Conte “Giuseppi”, come lo ha chiamato Trump, mi sembra più che altro il vecchio Conte Max. Ve lo ricordate? Un giovane edicolante romano che, dopo poche lezioni, sostituisce il vero Max, il vero conte. Con prevedibili disastri. La pochette a ben quattro “denti”, i capelli inusitatamente neri. Certo, con i tempi che corrono, un oscuro professore universitario fiorentino è almeno un alfabetizzato, mica come certi suoi ministri…
L’obiettivo del Conte 2 è, evidentemente, far fuori la Lega, prima che la Lega faccia fuori il Conte 2 (dopo l’Uno) e tutti i rapporti possibili dell’Italia con l’UE. Se dici sempre che li vuoi eliminare, è ovvio che i burocrati UE tentino a loro volta di distruggere i “sovranisti”.
La Lega e Salvini sono stati, in questo caso, improvvidi e inesperti come pochi. Ogni tanto emergeva, dai banchi della Camera, qualche pseudo-economista che teorizzava l’uscita dall’Euro, certo non un buon biglietto da visita per trattare con l’UE, oppure venivano fuori proposte di fantomatici “mini-bot” per pagare i debiti verso le imprese accesi dalla pubblica amministrazione. 3 miliardi di euro, oggi. Poi la Lega non ha nemmeno pensato a una questione essenziale: ovvero che nessuno, in Italia, può permettersi di fare un governo qualsiasi senza solide relazioni internazionali.
Ma in quale campionato giocava la Lega? Non in Russia, che non si è mai fidata del gruppo di fanfaroni italiani che “mediava” gli ipotetici affari della Lega a Mosca. Men che meno con gli Usa che, quando Salvini fu ricevuto da Mike Pompeo, l’attuale Segretario di Stato (originario di Caramanico Terme) a una domanda sulla Russia e l’Ucraina rispose che Mosca “aveva i suoi diritti” in quel Paese caucasico. Come dire davanti a Stalin di essere un liberale.
Ecco come è finita la Lega.
Questo è ciò che succederà, più o meno presto, più o meno in maniere simili, anche alla gita della III D a Roma, quella che oggi si autodefinisce “governo”.
Vediamo i componenti del Conte 2, per farci un’idea.
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ovvero colui che distribuisce i dossier, anche i più delicati, ai vari ministri, è Riccardo Fraccaro, un uomo della Casaleggio Associati srl. Dalle campagne della provincia di Treviso, si è laureato a Trento in Giurisprudenza, per poi lavorare in una società energetica. Faticosamente rieletto nel 2018, è stato ministro per i rapporti con il Parlamento nel Conte 1 e non piace, per equilibri interni, al PD.
Federico d’Incà, M5S, è poi il nuovo ministro per i Rapporti con il Parlamento, carica essenziale quando i voti sono sempre pochini e gli interessi, invece, corposi. Altro laureato a Trento, è stato presidente del gruppo parlamentare pentastellato ed è, come scrive nel suo sito personale, “produttore di ortaggi e verdure attraverso il proprio orto”. È pure “vicino al pensiero di Adriano Olivetti”…
Paola Pisano, ministro per l’innovazione e la digitalizzazione, è assessore, sugli stessi temi, al comune di Torino e insegna all’università. Vedremo cosa farà a Roma, ma speriamo bene.
Alla Pubblica Amministrazione arriva Fabiana Dadone, laureata in Legge, piemontese di Carrù, che è stata attivista del M5S fin dai suoi albori. È il referente, qualunque cosa ciò voglia dire, di Rousseau, la piattaforma del M5S, nel ruolo di Scudo della Rete, prendendo il posto di Buonafede il ministro, ieri come oggi, della giustizia e vero scopritore, da allievo, di Conte.
Agli affari regionali va Francesco Boccia, PD, noto come marito della pimpante berlusconiana Nunzia di Girolamo. Si vocifera che abbia presentato, a un concorso universitario, un testo plagiato. Siamo alle solite.
Al ministero del Sud va Giuseppe Provenzano, detto Peppe, in quota PD. Cognome pericolosissimo, ma curriculum ottimo. Laureato al Sant’Anna pisano, diventa poi ricercatore dello SVIMEZ, Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno. Poi, nel 2018, ne diviene vice-direttore. Ha scritto sulle politiche di coesione, ed è stato anche capo della segreteria dell’assessore all’economia della regione Sicilia Luca Bianchi, nella ridicola giunta Crocetta. È stato anche consulente del ministro Andrea Orlando. Membro della Segreteria Nazionale PD per le politiche del lavoro. Speriamo bene.
Per le “Politiche giovanili e lo Sport” arriva poi Vincenzo Spadafora, quasi vicino di casa di Di Maio, visto che è nato a Afragola. Dopo la maturità classica si trasferisce a Roma, dove comincia a lavorare all’Unicef. E dove diventa, nel 2008, presidente della sezione italiana. Splendida posizione e inutile per agganciare la gente che conta. Vincenzino inizia la carriera politica come segretario particolare del Presidente della Campania, tale Losco (è il cognome), un tizio dell’UDEUR, una delle tante scintille nate dalla conflagrazione della DC. Nel 2011 Spadafora viene anche nominato “primo garante per l’infanzia e l’adolescenza” un carrozzone nato dalla Convenzione di New York sull’infanzia del 1989. Si sa come vanno a finire i garanti. Nel 2016 finisce il lavoro da “primo garante” e va a fare parte dello staff di Luigi di Maio. Così, tanto per fare qualcosa. Fare il ministro dello Sport, oggi, non è una cosa di biglietti gratis: si controlla la liquidità del CONI.
Elena Bonetti (PD) è alle Pari Opportunità. La Bonetti è mantovana, viene dagli scout dell’AGESCI, l’associazione cattolica che applica i precetti del massone, razzista e militarista imperiale Baden Powell, primo barone Baden-Powell di Gilwell. È diventata, l’Agesci, una fucina di elementi della sinistra come nemmeno la vecchia Lotta Continua. Area Renzi, la Bonetti ha parlato alla Leopolda.
Anch’io ho parlato alla Leopolda, ma solo alla riunione annuale della Guida gastronomica de “L’Espresso”. La Bonetti invece ha pretese e adesso vuole il salario minimo e una Chiesa che si “apra” a tutte le diversità e le tendenze…
Agli Affari Europei va poi Vincenzo Amendola, PD, che è stato responsabile PD agli Esteri e, per quel che mi ricordo, è un tipo sveglio e perfino informato. Membro dell’inutilissima, salvo che per i lunghi viaggi gratuiti, assemblea parlamentare dell’OSCE. È stato sotto-segretario di Stato agli Affari Esteri nei due ultimi governi a guida PD.
Agli Affari Esteri va invece l’imbarazzante Luigi Di Maio. Già mostratosi brillante gaffeur. Ha accusato Renzi di “aver occupato con arroganza la cosa pubblica come Pinochet in Venezuela”. Impagabile. A Shangai, nel 2018, chiamò per ben due volte Xi Jinping, il presidente della Cina Popolare, con l’affettuoso “Ping”. Così, per risparmiare fiato. Niente di strano, quindi, che, nel momento in cui visitava un villaggio israeliano, dicesse ai suoi ospiti che “se arriveremo al governo, riconosceremo lo Stato di Palestina”. Che non esiste, peraltro, esiste solo l’Autorità Nazionale dei Territori Palestinesi. Studia, bimbo, come diceva mio padre ai suoi lavoranti più maldestri, dopo avergli dato un nocchino.
La signora Lamorgese, prefetto e oggi ministro dell’interno, è stata Capo di gabinetto di Alfano nel 2013, dopo essere stata prefetto di Venezia. Con la fine del governo Renzi è diventata prefetto di Milano. È nota per le sue posizioni legaliste sul decoro della città e sulle occupazioni abusive. È stata messa lì per evitare che le forze politiche che compongono il Conte 2 vengano accusate di essere troppo “dure”, ovvero di applicare la legge, per gli immigrati irregolari. È nota anche per la sua precisione tecnica e per la preparazione.
Alla Difesa va Lorenzo Guerini, che è stato un modesto presidente del COPASIR, la Commissione parlamentare sui Servizi. Già sindaco di Lodi, viene dalla DC. Importante è comunque che sostituisca la disastrosa Elisabetta Trenta.
Per gli altri, a parte Roberto Gualtieri, ministro delle Finanze, vicedirettore della Fondazione Gramsci, che è stato uno dei tre “saggi” che ha costituito il Partito Democratico su indicazione di Romano Prodi, tacere è bello.