Il Fondo Salva Stati Europeo
L’European Stability Mechanism, ovvero quello che comunemente chiamiamo il “Fondo Salva-Stati” è il frutto di un trattato internazionale tra i governi della UE che usano la moneta comune. Quindi, si tratta di una Organizzazione Internazionale, non di un Ente della Unione Europea, a cui comunque fa riferimento. L’ESM nasce dalle modifiche all’art.136 del Trattato di Lisbona, che sono state approvate il 23 marzo 2011 dal parlamento europeo e poi ratificate dal Consiglio Europeo pochi giorni dopo. Le date sono sempre importanti, qui l’ESM dimostra di essere un Trattato che nasce dopo lo scoppio della grande crisi finanziaria internazionale iniziatasi nel 2007 negli Usa.
L’ESM è stato temporaneamente bloccato, nella sua attuazione, da una sentenza della Corte Costituzionale Tedesca, che non riteneva il Fondo in linea con la prassi costituzionale di Berlino. La Corte tedesca ha poi dato il suo assenso, il 12 settembre 2012, purché vengano applicate alcune limitazioni all’opera dello stesso ESM.
L’ESM sostituisce il vecchio Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria e anche il Meccanismo Europeo di Stabilizzazioni Finanziaria, sorti, a suo tempo, per salvare Portogallo e Irlanda dall’insolvenza. Dispone oggi di almeno 650 miliardi di Euro. Oltre ai fondi provenienti dal resto inattivato del Fondo Temporaneo Europeo, circa 300 miliardi, a tutt’oggi. Opera con emissione di titoli e con prestiti ai Paesi in crisi finanziaria e fa un lavoro simile a quello della Banca Centrale Europea di Francoforte, ovvero acquista titoli di Stato sul mercato primario, non secondariocome fa la BCE, in relazione all’attivazione obbligatoria del sistema UE detto Outright Monetary Transaction(OMT), ovvero l’acquisto, sempre da parte della sola BCE, di titoli di Stato a breve termine, a patto che lo Stato in difficoltà finanziaria abbia richiesto, e con la richiesta sia stata accettata l’assistenza con lo ESM.
La novità (anche se non è proprio una vera e propria novità) è che le OMT e tutto l’Eurosistema accettano le richieste di ristrutturazione anche dei privati, e gli Stati non hanno alcuna priorità rispetto a loro. Tutto ciò ricorda una norma del vecchio Trattato di Versailles, quando alla fine del primo conflitto mondiale i vincitori affermarono che la Germania sconfitta avrebbe dovuto ripagare non solo i danni di guerra “pubblici”, ma anche tutti i danni che le Forze del Reich avevano causato ai privati. Sappiamo come è andata a finire…
Le riforme allo ESM che sono state proposte il 21 giugno del 2019 e precedentemente elaborate dal summit di capi di Stato e di Governo nel dicembre 2018 sono sostanzialmente queste elencate sotto.
C’è il backstop comune, che è un nuovo fondo UE per la risoluzione delle banche in seria crisi. Viene pagato dai contributi diretti delle banche europee, e sarà istituito entro il primo gennaio 2024. Se il backstopnon ce la fa, subentra però automaticamente lo ESM, alle stesse condizioni. Il credito concesso agli istituti di credito in crisi è di tipo revolving, ovvero il prestito viene restituito in rate mensili, ma l’importo minimo contrattuale e la scadenza vengono modificate secondo la situazione del cliente debitore, che se tutto va bene ripristina l’intero importo del credito a ogni rata regolarmente saldata.
Ma chi decide il credito a uno Stato in difficoltà?
Una proposta dell’amministratore dello ESM, che è oggi un tedesco, oppure il consiglio di amministrazione dell’ente (che è frutto di un trattato internazionale, ricordiamolo) composto dai 19 ministri delle finanze dell’area Euro, in concordia con il Board dei direttori dello stesso ESM, composto sempre da 19 tecnici di alto livello; e il tutto che vota gli aiuti con una maggioranza qualificata di almeno l’85% dei membri. E la struttura direttiva dello ESM chiede preventivamente la ristrutturazione del debito dello Stato in difficoltà.
Cosa potrebbe andare storto per l’Italia e per i Paesi ad alto debito pubblico, come si avviano ad essere anche Francia e Spagna, rispettivamente con un rapporto attuale debito/PIL di 100, per quel che riguarda Parigi, e di 102, a Madrid?
Gli aiuti, finora, sono stati concessi dalla Commissione Europea, d’intesa con la Banca Centrale. Si generalizza quindi, con la riforma dello ESM, la prassi che fu applicata con la Grecia: la ristrutturazione preliminare del debito pubblico, facendo partecipare ad essa anche i privati, come abbiamo già visto. È ovvio che, in questo caso, gli investitori faranno affari d’oro, essendo coperti dalla garanzia dello ESM. Gli aiuti verranno concessi, come è scritto nei nuovi regolamenti ESM e degli OMT, solo e unicamente se lo Stato richiedente “mostrerà la sostenibilità del suo debito”. Che non è calcolata mettendo nel conto il risparmio privato dei cittadini, ma solo la quota debito/PIL, valutata con uno standard prefissato.
Quindi, visto che l’Italia ha un rapporto debito/pil superiore al 60% (e chi non lo ha, oggi?) e non ha mantenuto la quota annuale di rientro dal debito (1/20) stabilita dal Fiscal Compact, allora la ristrutturazione del debito diviene obbligatoria.
Cos’è però la ristrutturazione di un debito sovrano? Intanto, significa tagliarlo, il noto haircut verso i creditori privati. La Grecia, nel 2012, lo tagliò al 53,5%, ovvero di ben 107 miliardi di euro. Poi si allungano le scadenze del debito rimanente, oppure se ne abbassano i rendimenti. Quindi ogni ristrutturazione sovrana fa esplodere i rendimenti dei titoli e porta fuori mercato i titoli di nuova emissione. Perché? Perché sale in modo rapido e colossale lo spread, l’indice di rapporto tra l’emissione dei titoli decennali di ogni Stato rispetto ai Bundtedeschi di eguale caratura.
E se la Germania non avesse poi una così grande salute finanziaria, con la crisi di Deutsche Banke il fallimento di fatto di molte delle finanze pubbliche dei vari Länder? Ma tant’è, questo credono i burocrati, piuttosto ignoranti di storia economica, che stanno a Bruxelles.
Se, come accadrà di certo, si andrà alla ristrutturazione per via europea del nostro debito pubblico, la prima cosa che faranno i detentori dei nostri titoli sarà quella di venderli, anche allo scoperto, e così diminuirà in percentuale il valore dei titoli del debito esistenti o in fase di emissione. L’induzione quindi di una Weimar Republik, con tanta carta che non vale più nulla. Nei ristoranti di quella fase della economia tedesca, i prezzi delle vivande cambiavano mentre le si mangiava, il sogno di tutti i teorici marginalisti, che fanno sempre l’esempio del primo cucchiaio, quello a massima utilità marginale, e dell’ultimo, che vale pochissimo perché si è già sazi, probabilmente. È con queste idiozie si fa economia pubblica oggi.
Le nuove emissioni dovranno però stabilizzarsi al livello di spread stabilito dai mercati e avranno, quindi un interesse decisamente elevato, per far venire l’appetito della minestra agli investitori. Ma sul mercato secondario, magari garantiti gli acquisti dei titoli con dei contratti derivati, i rendimenti aumenteranno rapidamente anche per quel che riguarda i titoli già in circolazione. Quindi aumenterà di molto il costo del finanziamento del deficit pubblico e i possessori di titoli venderanno a qualsiasi prezzo, mentre chi acquisirà questi buoni del Tesoro a prezzi stracciati farà affari d’oro, dopo che sarà cessata la ristrutturazione.
Paolo Savona voleva fortemente la trasformazione dell’area Euro in una vera zona monetaria, con la creazione di un sistema di reale lender of last resort, di “prestatore di ultima istanza” efficace, come accade con il dollaro che sostiene pagamenti per qualsiasi entità e ovunque, se denominati nella divisa statunitense. Nell’Euro no, non accade. Ecco perché la moneta europea fa il solletico alla moneta americana e anche allo yuan cinese e perfino al rublo russo, che lavorano all’estero o con dollari o con l’oro.
La regola standard vuole che, in casi di crisi da debito, intervengano le banche centrali, con un acquisto illimitato. Lo ESM non ha mezzi finanziari illimitati, quindi non è Prestatore di Ultima Istanza, e quindi il debito da sanare in Italia, se vogliamo rimanere in palla, sarà oggi di circa 500 miliardi, che è la differenza tra i 2350 miliardi di debito attuale e i quasi 1800 del PIL di oggi, se tutto va bene. Ovviamente, sarà quasi impossibile.
[illustrazione di Cristina Gardumi]