“Dio è donna e si chiama Petrunya” (“Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija”, di T. Strugar Mitevska, MAC 2019)
La Repubblica della Macedonia del Nord, così ufficialmente denominata dal 2018, è un paese di poco più di 25.000 km2, con 2 milioni di abitanti. Il paese segue due religioni principali, quella ortodossa per il 59 % degli abitanti e quella musulmana per quasi il 40%. La sua capitale è Skopje e qui e nella vicina città di Stip è ambientato questo film di produzione indipendente, e assai interessante. Queste informazioni sono utili per fornire un quadro di contesto minimo di un’opera, presentata alla Berlinale 2019 e al Torino Film Festival, fortemente radicata nella realtà regionale e ruotante intorno al rapporto tra religione, o per meglio dire superstizione religiosa, oscurantismo maschilista, e ruolo della donna. La prima sequenza mostra una processione religiosa, vagamente bunueliana, composta da soli uomini che portano seco oggetti di culto. Petrunya, la protagonista, è una trentaduenne corpulenta, certo non bella, che vive in una sorta di stato letargico in casa con i genitori, il padre malmesso, la madre assillante e autoritaria ma anche attenta a scuotere la figlia dal suo torpore. Cerca di indurla a trovare un lavoro, la sprona acchè si impegni con qualche colloquio. Ma l’esperienza si rivela disastrosa e inutile. L’aspetto e il carattere non aiutano Petrunya. Non ha mai lavorato: laureata in storia, sembra anche essersi scoraggiata per aver scoperto quanto lo studio sia stato inutile. Ma in modo inatteso, e in virtù di un soprassalto di orgoglio di genere e di ricerca di una qualche forma di successo personale, Petrunya diventa un personaggio famoso nella sua città. Nel corso di un rituale, tradizionalmente riservato a uomini, che prevede che un pope getti nel fiume un piccolo crocifisso e che chi lo ritrovi nei flutti se ne appropri come di una reliquia destinata a garantire benessere e protezione divina, Petrunya si intromette nella manifestazione, si getta in acqua e si impadronisce del prezioso oggetto, fuggendo con esso. Suscita però le reazioni rabbiose degli uomini e della cittadinanza. Una cronista televisiva (Labina Mitevska, la sorella della regista) simpatizza con la donna, frattanto accusata e sottoposta dalla polizia locale a una sgradevole autodifesa. Due terzi del film partono da questo momento. Petrunya troverà il suo riscatto nella vicenda che segue, fino a quando, ormai paga di quanto ottenuto, restituirà il crocifisso al pope, che ha avuto nei suoi confronti un atteggiamento relativamente comprensivo.
Come si è detto, la pellicola è ben concepita, con una fotografia opaca, povera, e paesaggi tipici del cinema balcanico, e fornisce spunti di riflessione importanti sulla società patriarcale macedone. L’attrice che interpreta Petrunya, Zorica Nusheva, è deliziosamente sgraziata e sempre molto espressiva.