“La Dea Fortuna” (di F. Özpetek, ITA 2019)
Cineasta discontinuo e di relativa monotematicità, capace di cose belle e di prodotti piuttosto banali, Özpetek ha però il pregio di non annoiare e di riuscire in genere a creare empatia nello spettatore, coinvolto emotivamente dai drammi umani legati all’identità omosessuale, alla famiglia, all’amicizia, alla malattia. Nato a Istanbul nel 1959, Özpetek è in Italia da oltre quarant’anni e i suoi film sono perfettamente calati nella realtà del paese. La Dea Fortuna deriva questo titolo dalle maestose rovine del tempio romano-ellenistico della Fortuna Primigenia, costruito probabilmente nel II secolo a.C., delle terrazze archeologiche di quella città “rotta” che sembra Palestrina (antica Praeneste); da una sorta di rituale magico attribuito alla Dea, il guardare fisso una persona che si ama, chiudendo gli occhi per poi riaprirli e acquisirla per sempre nel cuore; dalla natura ancipite della Fortuna latina (vox media per eccellenza, come tale evocata in una scena del film: buona o cattiva fortuna a seconda di cio’ che la vita riservi). Qui a Palestrina Annamaria (Jasmine Trinca, come al solito “giusta”) favorì lo sbocciare durante una gita dell’amore tra il suo fedele amico Alessandro (Edoardo Leo, bravissimo) e Arturo (uno Stefano Accorsi… un po’ sovrappeso). Sono passati circa quindici anni e i due vivono in un appartamento romano, avendo come vicini un gruppo di amici eterogenei, simpatici e teneri ma improbabili. Alessandro e Arturo sono l’uno un idraulico gran lavoratore e l’altro uno scrittore che si scoprirà avere da tempo perduto la vena letteraria e già aspirante docente universitario frustrato. Sembrano ora più distaccati, la promiscuità entra decisamente nella vita della coppia: entrambi hanno amanti occasionali, o vicende di tradimento più prolungate. Un evento provoca ulteriori squilibri, almeno inizialmente: Annamaria soffre di emicranie sospette e la attende una lunga degenza in ospedale per accertamenti che non promettono nulla di buono. Affida allora i due figli ancora piccoli ai suoi due amici (piuttosto che alla inaffidabile e crudele madre: Barbara Alberti) che si avviano, anche a seguito di queste novità, a interrompere definitivamente la loro relazione. Succederà?
Accompagnato da una bella e non invasiva colonna sonora, buono il cast (Leo meglio di Accorsi, bravi gli attori non protagonisti), l’opera è forse scontata nel finale, dove però, in Sicilia, sono girate alcune magnifiche sequenze e dove si compie come in una Ringkomposition il contrappasso circolare con l’incipit, caratterizzato da sottili venature di horror per ragazzi. I rapporti interpersonali e le vicende familiari sono ben scavati, e i ritratti non scadono mai nel grossier; di più: è suscitata anche commozione, nell’esprimere una gioia di vivere che supera le avversità e le sofferenze più pesanti, si dà speranza nel futuro. Come si è detto Özpetek tende a ripetersi ma forse anche in questo sta il suo segreto, dove il pubblico si ritrova e si rispecchia. La Dea Fortuna è, con Saturno contro (2007) e Mine vaganti (2010), il miglior film del regista di origine turca.