15 Novembre 2024
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Dag Solstad, T.Singer, Iperborea 2019, pag. 256, € 17,00, traduzione dal norvegese di Maria Valeria D’Avino

 

Non è il primo romanzo che leggo di Dag Solstad, ritenuto uno dei maggiori scrittori scandinavi contemporanei, “l’unico ad aver ricevuto il Premio della Critica per tre volte, oltre al Premio del Consiglio Nordico e al Premio Nordico dell’Accademia svedese, noto come il piccolo Nobel”.

T.Singer conferma, anzi rafforza, l’idea di grande originalità della sua narrazione, che in questo romanzo dapprima sorprende per la cura, quasi ostinazione, con cui Solstad elenca, seziona, rovescia, azioni e riflessioni di Singer, fino alla esasperazione, dando vita ad un personaggio complesso guardato con simpatica ironia; e intanto trascina nel suo mondo magmatico da cui non vorresti più uscire.

Una narrativa serrata dove la terza persona permette all’autore di intervenire sul proprio procedere e porsi domande, in un processo di analisi psicologica che non si interrompe mai, dove il lettore si adegua al ritmo ed alle elucubrazioni surreali e drammatiche di Singer. Lui trascina da anni la vergogna di aver pronunciato parole inadeguate a certe persone- vergogna non per il loro contenuto di per sé inoffensivo, ma per lo stupore che devono aver provocato – tanto che quel ricordo la perseguita e lo colpisce a sorpresa, lo fa fermare all’improvviso, rigido come un palo, con la mani a coprirsi la faccia ed a pronunciare no, no, no!

Lento negli gli studi, sognatore, accarezza l’idea di diventare scrittore e lavora su un incipit per un tempo infinito, rimuginandolo nella mente, girandolo e rigirandolo con tagli ed aggiunte. Finché si rende conto che è un progetto irrealizzabile e rinuncia.

Abitudinario, non ama essere al centro dell’attenzione, anzi vorrebbe scomparire e sottrarsi all’interessamento degli altri. Confinato sempre più nella sua solitudine, non può fare altro che accettarsi come un enigma, con tutte le limitazioni che lo differenziano dall’agire e dal vivere degli altri: “Cui non dispiaceva che gli altri lo considerassero un enigma, perché così lo avrebbero visto proprio come si vedeva lui, non di rado con un senso di angoscia; solo che nello sguardo altrui non c’era angoscia, piuttosto uno stupore rispettoso”.

Non cerca successo, denaro, famiglia, compagnia. Gli manca la passione per la vita. La accetta e la usa con tutta la dignità e la correttezza possibili ma fondamentalmente la subisce.

Quando ha già trentuno anni, un corso di bibliotecario gli offre una soluzione alla solitudine insieme alla possibilità di autonomia, così prende servizio effettivo tre anni dopo lontano da Oslo, tra le montagne del Telemark, presso la biblioteca di Notodden. La ripetitività del lavoro, il contatto con i colleghi e i lettori, il prendersi cura dei libri, gli arrecano una stabilità mai avuta prima, tanto da lasciare alle spalle le sue fragilità e crearsi addirittura una famiglia, adeguandosi ai riti della coppia, alla frequentazione di amici, a nuove responsabilità, alle esigenze della moglie e della figlia piccola di lei.

Come a tradimento però il vecchio Singer, tenuto così accuratamente sotto controllo, riemerge, si affaccia sempre più prepotente e lo porta a chiedersi “che cosa ci faccio io qui” come se si guardasse vivere dall’esterno, scoprendosi inadeguato e fuori posto. Il corso degli eventi non gli permette tuttavia di riprendersi la sua libertà: forse per senso di responsabilità o di innato rispetto, forse per una specie di automatismo immediato, o per quel suo modo di subire la vita, finisce per occuparsi da solo della figlia di Merete, la moglie.

E’ una convivenza fatta di poche parole, che Singer, inesperto, solitario, essenziale, vive nel più assoluto rispetto delle privacy della bambina, ma le assicura protezione, controllando tutte le ansie e la paure di un genitore vero.

Con una attenzione non priva di inconfessato e mai ammesso amore paterno, Singer vede avviarsi Isabella verso la maggiore età, continuando a porsi domande sulle scelte educative, in un misto di ignoranza e desiderio di sapere che fa tenerezza e lo rende ancora più amato al lettore.

 

 

 

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.