19 Dicembre 2024
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Prescrizione delle mie brame…

Premetto che non sono un giurista, ma con certi avvocati e politicanti in giro meglio un filosofo che niente. Che cos’è la prescrizione? È un istituto giuridico che gestisce gli effetti, sempre giuridici, del trascorrere del tempo, nel penale e nel civile. Nel diritto civile, la prescrizione produce l’estinzione del diritto soggettivo di una parte, per effetto dell’inerzia del titolare del diritto stesso, diritto che egli non esercita o non usa per un arco di tempo, anch’esso determinato dalla legge.

Quindi, un diritto non può essere vantato, in ambito civilistico, se non viene esercitato per un certo tempo. A cosa serve questo criterio? A garantire la certezza dei rapporti tra i privati e l’affidabilità della circolazione dei titoli.

Nell’ambito del diritto penale, la prescrizione è una causa di estinzione del reato che si attiva quando, dal momento in cui il reato è stato commesso, sia decorso un lasso di tempo, proporzionato alla gravità del reato, tale per cui l’ordinamento giuridico perde interesse alla repressione del reato stesso.

Quindi il fondamento della prescrizione risiede nel venir meno delle esigenze di prevenzione del reato. Quando è passato un determinato lasso di tempo, l’accertamento delle responsabilità e la comminazione di una pena perdono di significato per l’intera comunità.

Una cosa è la storia, un’altra il diritto.

Nel penale, però, il criterio della prescrizione cambia rispetto all’ambito civilistico: qui non abbiamo a che fare con la fiducia tra le parti, ma con l’impossibilità, da parte dello Stato, di perseguire e condannare qualcuno per un fatto commesso in tempi ormai lontani. Tempi per i quali, fra l’altro, diviene sempre più difficile reperire testimonianze specifiche. È poi da ricordare che, dagli artt. 157, 158, 159, 160 e 161 c.p., risulta che la prescrizione penale ha una natura sostanziale, ovvero essa non incide sul processo, ma si riferisce direttamente al reato, che così si estingue.

Quindi, la prescrizione ha una sua logica, e serve ad importanti necessità dell’ordinamento. Nell’ambito civilistico, lo abbiamo visto, prescrivere serve a garanzia di chiari rapporti tra i privati e alla necessità di certezza nella circolazione dei titoli. Ovvio che qui c’è la motivazione primaria di far andare sempre avanti gli scambi, evitando anche che, nel penale, i cittadini divengano all’infinito soggetti a indagini e processi. La ragione è intuitiva ma, con i tempi che corrono, è bene spiegarla: a seconda della gravità del fatto commesso, l’offesa subita dalle vittime si affievolisce nel tempo, facendo venir meno la necessità di restaurare l’ordinamento.

Inoltre, le persone cambiano con il passare del tempo, allora la pena deve essere, quindi, comminata nel lasso di tempo più piccolo possibile a partire dal compimento del reato, perché, espiando la colpa, il condannato possa comprendere fino in fondo l’errore commesso.

Sto usando i criteri classici della dottrina, qui, non sto facendo delle mie deduzioni sull’ordinamento della prescrizione. Peraltro, da un punto di vista processuale, la prescrizione opera a favore dei diritti della difesa, quindi tanto più passa il tempo tanto meno le prove addotte sono utilizzabili. Si pensi, qui, alle testimonianze oculari che, come insegnava un maestro del diritto penale pisano, sono le meno certe che si possano utilizzare.

Quindi, la prescrizione serve a rafforzare la certezza del diritto, ma non è mai un modo ordinario per estinguere i processi. Essa serve a garantire dal processo infinito, e quindi dai giudizi sempre meno affidabili, data la lontananza del procedimento dal momento in cui il fatto è stato commesso.  Il diritto non è scritto nei Cieli, è cosa umana e, quindi, deve tener sempre conto del fattore tempo.

La prescrizione non protegge l’imputato, ma equilibrare l’interesse dello Stato a perseguire i reati e l’interesse dei cittadini a difendersi, ad armi pari, con lo Stato. La prescrizione, poi, è già sospesa nei casi di autorizzazione a procedere, nelle ipotesi di questioni deferite ad altro giudizio, nei casi di sospensione del processo penale per ragioni di impedimento delle parti. E in alcune altre, più specifiche, che qui non ci interessano.

Ma allora, cosa vuole la L. 9 gennaio 2019 n.3, entrata in vigore il 1 gennaio 2020? Essa decide che la prescrizione rimanga sospesa fino a che non si arrivi a una sentenza o a un decreto di condanna definitivi.

Il Lodo “Conte bis”, poi introduce la differenziazione tra condannati e assolti in primo grado, applicando solo ai primi il blocco della prescrizione. Di conseguenza, la prescrizione si ferma solo al secondo grado di giudizio.

Il paragone con gli altri ordinamenti europei è però fuorviante.

In Francia la prescrizione funziona più o meno come da noi prima della L. 9 gennaio 2019, però il Pubblico Ministero dipende, beati loro, direttamente dal Governo, è nominato dal ministro della Giustizia e, fino al 2013, poteva ricevere direttive particolari, su ogni singolo caso, dal ministro.

In Spagna, il regime della prescrizione è simile, anche qui, al sistema italiano, ma si può interrompere facilmente e non vi è indicazione del termine massimo entro cui la prescrizione opera automaticamente.

In Germania, la prescrizione vale per la perseguibilità del reato oppure per l’esecuzione della pena, ma in Inghilterra, paese di Common Law, dove non esiste (beati loro) nemmeno una Costituzione scritta, non vi è una vera e propria procedura penale fissa ma vige, come è noto, l’”autorità dei precedenti”. Il diritto più vicino alla logica aristotelica che si possa immaginare. Non c’è quindi vera e propria prescrizione ma, per evitare l’eccesivo protrarsi del processo, c’è lo stay of proceeding, ovvero la cessazione definitiva del processo per violazione del fair trial.

Negli USA, in cui la necessità e il diritto a un processo “certo, rapido e pubblico” è scritta nel Bill of Rights del 1791, per i processi troppo lunghi la Corte Suprema opta per il dismissal, la definitiva interruzione del procedimento.

Si ricordi, poi, che gli errori giudiziari di vario tipo sono in Italia una caterva. Gli ultimi dati disponibili, del 2018, ci danno, dal 1992 al 20018, appunto, un totale di 27.500 errori: ci sono stati 1057 innocenti in custodia cautelare ogni anno, e quindi le richieste di indennizzo fioccano. Dal 1992 al 2018 sono stati spesi 750 milioni di euro in indennizzi, ovvero 29 milioni l’anno. Gli errori giudiziari veri e propri sono stati, dal 1992 al 2018, 153, mentre nel 2018 gli errori sono stati 18, il doppio rispetto al 2017, con una spesa in risarcimenti di 14.602.224 euro.

Vale sempre l’aforisma di Karl Kraus: “lo scandalo comincia quando la polizia vi mette fine”.