Anche Antonius Block ha perso la sua partita
Max von Sydow, mancato ieri a 91 anni, fu figlio di un professore universitario di filologia e antropologia nordica di Lund e di una nobildonna, e aveva qualcosa nei suoi tratti che sembrava rifletterne l’origine: altissimo (1.93 m), elegante, spigoloso, enigmatico, trasmetteva l’idea di una calma olimpica che poteva trasformarsi in ira violentissima, in forza sovrumana. Un fisico così non avrebbe probabilmente fatto la fortuna di un attore se non fosse nato in Svezia e se non avesse incontrato il suo nume tutelare, il grande maestro Ingmar Bergman, più anziano di lui due lustri. Lo incontrò negli anni ’50 nel corso di reciproche attività teatrali. Bergman ne fece uno dei suoi attori feticcio e con lui girò undici film ed alcuni fra i più belli.
La perdita dell’immenso Max Von Sydow (nato Carl Adolf von Sydow, 10 aprile 1929- 8 marzo 2020) potrebbe indurre qualche illuminato dirigente televisivo, proprietario di cinema, produttore, a ripercorrerne la carriera e con la sua quella del grande maestro, ma difficilmente, vedrete, si andrà oltre Il Settimo Sigillo (sua seconda interpretazione in assoluto dopo La notte del piacere di Alf Sjoeberg, 1951), capolavoro sottovalutato dalla critica (sì: rileggetela), con la sua scena epica, tra le più famose della storia della settima arte: il crociato Antonius Block che gioca (in momenti diversi del film) la sua partita a scacchi con l’ineluttabile, con la dispettosa e astuta Morte, rappresentata da un lugubre vestito nero su maschera bianca e una minacciosa falce. In quel film fa da sfondo la peste nera che infuria sull’Europa. Von Sydow ha spesso rappresentato l’alter ego di Bergman (sebbene non ci risulti i due avessero mai sviluppato una profonda amicizia che andasse oltre l’elemento professionale): i problemi espressi, le inquietudini interpretate erano quelli del grande maestro: la difficoltà a comunicare, l’angoscia della vita, il doppio e la dialettica con il proprio io, i dubbi su Dio, l’angoscia della guerra, l’impossibilità di stabilire legami saldi tra uomo e donna. Tra tutti suggerirei come imperdibili occasioni di riflessione e di piacere estetico: Il posto delle fragole, Il volto, La fontana della vergine, Come in uno specchio (girati tutti tra il 1956 e il 1961). Ovvietà e stereotipi, almeno per chi conosce la cinematografia del grande maestro. Ma le giovani generazioni ignorano quasi del tutto il grande maestro e se hanno presente Max Von Sydow lo avranno presente, ahimè, per una qualche interpretazione nella irrilevante serie di Star Wars o per la partecipazione a Il trono di spade o per i vecchi cult tipo L’esorcista o Conan il Barbaro.
Divenne presto star internazionale, fu attivo in America e altrove, di nuovo anche con valenti direttori svedesi come Sjoeman e Troell. Recitò anche in film di buon livello come I tre giorni del condor (S. Pollack, 1975), Cadaveri eccellenti (F. Rosi, 1976), Il deserto dei tartari (V. Zurlini 1976), La morte inn diretta (B. Tavernier, 1980), Fuga per la vittoria (J. Huston 1981), Hannah e le sue sorelle (W. Allen, 1986), Pelle alla conquista del mondo (B. August 1987), Fino alla fine del mondo (W. Wenders, 1991), Europa (L. von Trier, 1991). La sua ultima interpretazione è stata in Kursk di Thomas Vinterberg (2018).
[Per un link a pandemie in tv o al cinema: https://www.agoravox.it/Le-pandemie-sullo-schermo.html ]