15 Novembre 2024
Culture Club

Piovono Squali

Ho un dirimpettaio che dice che non è vero, è tutto un imbroglio o un incubo, vedrai. Io lo sto a sentire solo perché è un marziano gentile e discreto, ed è così lontano dai suoi cari che mi fa pena. Ogni tanto si affaccia sul terrazzo col cannocchiale, lo punta verso Orione, si piega verso l’obiettivo. Così resta, fisso, immobile, come una statua, almeno una mezz’oretta, a volte di più, dipende se il cielo è annuvolato.

Non ho mai capito da quale pianeta venga, è qui da qualche mese e mi dice che non ci resterà ancora a lungo, è una gran noia, ogni secondo per lui è un secolo, non ha tempo da perdere, e lo dice con un’ansia come di uno che ha fretta di partire, o sta per perdere un treno o un aereo, o deve precipitarsi a comprare delle azioni prima che vengano rivalutate; insomma, ho il sospetto che lavori per qualche finanziaria internazionale clandestina, ma per quale? Purtroppo, con la nuova ordinanza restrittiva, n. 7452, non ho avuto modo di capirlo: bisogna parlare il meno possibile, frasi non più lunghe di 144 caratteri, possibilmente mormorate. Ma ci voleva! Adesso, sí, che staremo meglio. Sono nuove misure di contenimento contro le zecche, la fibrosi cistica, la carie, il misoneismo, la dispnea, la sindrome di burnout e il morbo di Haggard. Alla fine riusciremo a ripulire questo paese, che non sarà più bello come una vola ma almeno sarà più sano.

Gliel’ho spiegato, al mio caro dirimpettaio, sempre a distanza di sicurezza, cioè a un metro e ottantuno centimetri, per evitare sputacchi e spifferi agliosi che potrebbero seriamente danneggiare le mucose olfattive: si tratta solo di portare pazienza, ancora qualche anno e poi si torna alla “normalità”. “Qualche anno? Ma io me ne vado!”, mi ha risposto. E poi su “normalità” ogni volta mi scatena una raffica di domande cui non so cosa rispondere. È un argomento che gli sta a cuore, credo.

Com’era la vita quando era normale? Non è normale ciò che è normale, taglio corto, ma è normale ciò che giusto… Troppe domande, amico mio, lascia stare, fai come me, accontentarsi, accontentarsi – mormoro, come se qualcuno ci spiasse… Mi guarda come da un altro pianeta. Non m’intendo di astronomia, ma se fossimo corpi celesti, quei pochi secondi di distanza che ci separano fra un uscio e l’altro sembrano anni luce. In attesa che io dica qualcosa di più interessante, tace, concentrato su qualche pensiero remoto. Forse attiva un nastro di registrazione per fissare ogni mia parola, o forse pensa solo al suo pianeta che ha lasciato in qualche costellazione in espansione: sui suoi occhi cala un velo di nostalgia e di malinconia, che però mi lascia infastidito. In un’ordinanza restrittiva di una decina d’anni fa (prima o poi dovrò rimettere in ordine i miei faldoni!), si diceva chiaro e tondo, lo avrebbero capito anche i bambini!, che l’uso del “perché” era limitato alle proposizioni causali e finali, non più alle interrogative.

Quanto sarebbe più comoda la vita, provo a spiegargli con pazienza, lasciar perdere la realtà, smetterla con i “perché”. Non posso dire che lui non abbia provato a seguire, ovvero di abolire quello che c’è fuori di casa, senza cadere nella trappola della claustrofobia: tutto ciò che avviene o è avvenuto ed avverrà lo trovi in quello schermo nero che ha il potere di illuminarsi trasformando i pixel in immagini. Ci ha provato, e si è fiondato sui programmi televisivi culturali. Per fortuna sono stati potenziati! Ogni tanto capita anche a me di vederli e ne parliamo insieme: vantaggi e svantaggi della reincarnazione; i rapporti tra pellerossa e civiltà aliene; la piaga della balbuzie presso i barbari; in che lingua parlavano le mummie; i dessert bionici degli antichi romani; la missione spaziale che gli aztechi stavano preparando prima che arrivassero i conquistadores; efficacia dei corsi di sicurezza sul lavoro nell’antica Atlantide; come mai Hitler il giorno dell’invasione della Normandia dormi fino a tardi; e così via. Che vuoi di più? A volte, la cultura propinata è tanta che avverto un dolorino acuto tra i lobi frontali del cervello, come se mi stesse per partire la corteccia dorsale. Il mio rimedio? Quello di tutti: è l’ultima poltrona multirelax acquistata ai saldi online, capace di modellare il coccige sfiancato da tanta inattività. Un beverone di sedativi autoipnotici e metadoni proteici, e mi accascio come un sacco di patate! Mi pare che se ne sia procurata una simile anche lui, il marziano, ma la usa poco: probabilmente è di scarsa qualità. Come tutto quello che ha a casa. Certo, vi si è insediato da poco, e già vuole andarsene, perché si annoia! A mala pena sbircio nel corridoio, quando si affaccia, e intravedo qualche vano: muri spogli, disadorni, un lucore al neon che sciama forse dalla cucina, e il riflesso di uno specchio impallidito dal tempo…

Potrei dire una stupidaggine ma credo che la sua ignoranza in merito alle restrizioni sia davvero grave. In una delle ultime era prescritto: evitare gli specchi in casa in quanto potrebbero contagiarci con una nostra immagine imperfetta che, imprimendosi nella memoria, finisce per far marcire definitivamente la nostra autostima. E con tutti i batteri e virus che abbiamo in giro, ci manca solo questo! Invece di usare lo specchio meglio mettere in sua vece una nostra immagine ideale. Molto più comodo, no? Una volta ci si alzava la mattina e la prima faccia che riceveva il nostro cervello, già provato da una notte agitata, era quella di uno che sbadiglia, con capelli arruffati e unti, barba incolta, rughe disidratate. E dàgli con acqua e sapone, doccia, rasoio, crema, deodorante ecc. Ma dico io: se grazie all’uso dell’ipermascherina che riveste ormai tutto il volto, sigillando ogni feritoia raggiungibile da un ospite sgradito, non riusciamo più a vederci l’un l’altro, che senso ha vedersi ancora allo specchio prima di verificare se siamo “presentabili”?

Neanche questo capisce il mio caro vicino. È proprio un marziano! Bastano gli occhi, gli ripeto, purché protetti da uno schermo trasparente che permetta di osservare l’esterno. Lui, no: usa la mascherina solo quando si affaccia sul pianerottolo, per non farsi beccare dalla telecamera che sorveglia premurosamente ogni nostro prezioso minuto vissuto nello spazio pubblico. Una mascherina di carta verdognola, stropicciata, come se fosse rimasta schiacciata in fondo a un cassetto, di quelle che scivolano sulla bocca mentre parli, e lasciamo scoperte le narici che aspirano quest’aria colma di microbi necrotici. Che orrore. Ieri gli ho consigliato di prendersi un drone casalingo, per dimostrare che ci tiene alla sua salute, e soprattutto per far capire ad eventuali ispettori che lui non vuol entrare nella lista degli ORC (ostinati riottosi capatosta), sottoponendosi a un doppio controllo sanitario, ogni settimana, per l’analisi delle feci e la rilevazione metodico della traspirazione ascellare. Dietro lo spiraglio della porta, ho intravisto il suo viso in ombra, che mi guardava con l’attenzione che il cortese visitatore di un altro pianeta riserva verso una proposta bizzarra. Non mi ha detto né sì né no, ma un rassicurante anche se incredulo “ci penso”.

Non volli insistere. Fu allora che cominciò a piovere a dirotto. Uno scroscio, poi un altro, quindi vetri che tremavano, aggricciavano, gemevano come sforzati da una grandinata d’altri tempi, ma era solo un acquazzone particolarmente violento, uno di quelli che arrivano all’improvviso, ormai sempre più di frequenti: piovevano squali. Un fenomeno curioso per chi non vive sulla terra e vede poco la televisione e non si tiene informato. So che è già in fase di studio un’ordinanza del governo che ci metterà al sicuro da questo increscioso fenomeno meteorologico. Sono sicuro che andrà tutto bene.